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Dottor Jekill e Mr. Hyde

«Come trovare un senso alla vita?» è una delle domande più frequentemente poste nella storia dell’umanità. Mai però prima d’ora questo interrogativo esistenziale aveva trovato un’appendice nelle nuove tecnologie. E non poteva che essere Elon Musk a ribaltare la prospettiva: «come trovare un senso alla vita se un’intelligenza artificiale sarà in grado di fare tutto?», si è chiesto il patron di Tesla, SpaceX e X, davanti al pubblico dell’AI Safety Summit, il primo summit globale dedicato all’intelligenza artificiale, tenutosi lo scorso novembre a Londra. E non si parla di uno strumento in grado di fare “materialmente” ogni cosa, ma di un congegno in grado di fare “intellettualmente” tutto: «per la prima volta, l’AI sarà più intelligente dell’uomo più intelligente. È difficile dire con esattezza quando accadrà, ma arriverà un momento in cui non ci sarà più bisogno di un lavoro. Si potrà avere un lavoro se si vuole avere un’occupazione per soddisfazione personale», sostiene Musk, finito recentemente nel mirino del Wall Street Journal per abuso di sostanze stupefacenti.

Al di là delle apodittiche (e un po’ inquietanti) affermazioni del cofondatore di OpenAI, non si deve pensare all’intelligenza artificiale come a un Mr. Hyde che sfugge all’attenzione del suo creatore. Lo studio Generative AI and jobs: A global analysis on job quantity and quality dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), lo mette chiaramente nero su bianco: «i risultati della transizione tecnologica non sono predeterminati. Sono gli esseri umani che stanno all’origine della decisione di incorporare tali tecnologie e sono loro che devono guidare il processo di transizione». E per ribadire meglio il concetto l’Ilo sottolinea che l’impatto dell’intelligenza artificiale – coinvolgendo in massima parte il lavoro d’ufficio e il lavoro della conoscenza, fondato su capacità di analisi e creatività – incide in particolare sulle professioni intellettuali, le più esposte all’introduzione su vasta scala di strumenti in grado di eseguire compiti cognitivi, quali attività di ricerca, analisi di testi e redazione di documenti.

L’impatto sulle professioni

Sotto questo profilo, l’introduzione di sistemi di AI rappresenta oggi il profilo più avanzato della trasformazione digitale del mondo professionale: la sua introduzione nella vita quotidiana degli studi professionali consentirà di automatizzare le mansioni routinarie per lasciare spazio ad attività ad alto valore aggiunto quali la formazione avanzata e la consulenza strategica, nonché ridurre il carico di lavoro amministrativo per la gestione dello studio. E, come recentemente dichiarato dal presidente di Confprofessioni Gaetano Stella, in occasione di una audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva avviata dalla Commissione Lavoro della Camera per misurare gli impatti che l’intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, non c’è spazio per la banale polarizzazione tra apocalittici e integrati: le innovazioni e le trasformazioni tecnologiche, e il loro inserimento negli ambienti economici e professionali, sono processi avviati e irreversibili. I professionisti che in Italia e in Europa stanno già sperimentando – seppur lentamente – tali innovazioni si troveranno certamente, già tra pochi anni, in una posizione competitiva rispetto ai loro concorrenti italiani e stranieri. Del resto – come sottolineato dal rapporto dell’Ilo – le professioni del futuro hanno l’innovazione nel loro genoma: analista di big data; esperto dei cambiamenti climatici; specialista di e-commerce e marketing digitale, ingegnere specializzato in energie rinnovabili e, naturalmente, specialista di intelligenza artificiale saranno i ruoli più richiesti dal mercato.

Un fenomeno globale

Tuttavia, la pervasività dell’AI ha le sembianze di Dottor Jekyll e nelle accademie così come sui giornali si sprecano gli allarmi e i timori sullo sviluppo incontrollato di un’AI sempre più sofisticata. Gli stessi giganti del tech, a partire proprio da Musk e dal co-fondatore di Apple, Steve Wozniak, hanno lanciato l’alert sulla necessità di sviluppare protocolli di sicurezza, sistemi di governance e di ricerca per garantire accuratezza, sicurezza e affidabilità dei sistemi. Un appello raccolto anche dal l’Unione Europea che si è mossa sul fronte della sicurezza. Il nuovo Regolamento (IA Act) appena approvato a Strasburgo (si veda l’articolo a pag. XX) vieta l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per la sorveglianza biometrica nei luoghi pubblici, la polizia predittiva e il riconoscimento delle emozioni; prevede poi la regolamentazione dell’AI generativa di Chat GTP (per cui il software deve rivelare che i propri contenuti sono frutto dell’AI) e la classificazione come ad alto rischio dei sistemi di AI utilizzati per influenzare le scelte degli elettori.

A livello nazionale il tema suscita grande interesse, al punto che negli ultimi mesi il governo Meloni e il Parlamento hanno creato ben tre organismi che si occupano di intelligenza artificiale con obiettivi e competenze diverse. Il “Comitato di coordinamento per l’intelligenza artificiale”, presieduto dal sottosegretario alla transizione digitale Alessio Butti riunisce esperti della materia con il compito di redigere il piano strategico nazionale. C’è poi la cosiddetta “Commissione algoritmi” presieduta, dopo le dimissioni di Giuliano Amato, dal teologo e frate francescano Paolo Benanti, professore alla pontificia università gregoriana di Roma e membro di un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sull’intelligenza artificiale. A questa Commissione partecipano anche esperti di bioetica, per lo studio dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del giornalismo e dell’editoria che apre questioni non secondarie sullo sviluppo etico dell’AI, anche alla luce della diffusione delle fake news e dei deep fake (notizie e immagini false create grazie all’AI che però sono totalmente assimilabili per qualità e realismo ad immagini vere). Ma pensiamo anche alla discriminazione dei lavoratori che potrebbe derivare da processi di selezione e promozione interamente affidati alle macchine. L’impiego di sistemi di rilevazione automatizzati potrebbe impattare grandemente sulla privacy dei dipendenti a partire dalla raccolta dei dati personali sensibili.

In altri ambiti l’introduzione di tecnologie di AI pone certamente meno ombre: pensiamo all’impatto sulla transizione ecologica grazie al progresso nella ricerca e nei processi industriali (Industria 5.0). L’impiego delle tecnologie più avanzate potrà consentire di attuare la duplice transizione – vale a dire di coniugare la trasformazione digitale e quella ecologica – come prevista dal RepowerEu, il nuovo grande piano di investimento europeo per sostituire i combustibili fossili con le fonti rinnovabili. Inoltre, grazie all’impiego di strumenti predittivi avanzati l’AI può avere un ruolo fondamentale nella gestione delle conseguenze dei cambiamenti climatici.

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