Arriva uno strumento che misura scientificamente l’impatto del welfare aziendale sulla natalità e il benessere familiare. Non solo per combattere le disuguaglianze di genere che mettono all’angolo le lavoratrici con bambini piccoli, ma anche per risollevare le sorti economiche di un Paese che invecchia.
Birra Peroni offre ai dipendenti con figli lavoro da remoto, congedo maggiorato e orario flessibile. L’azienda IT Doctolib organizza corsi per dipendenti-genitori e l’agenzia di comunicazione ZooCom concede persino un bonus nascita. Notizie dal futuro? No, annunci di lavoro pubblicati da promama.it, il sito che mette in contatto mamme e aziende che credono in loro.
In Italia, le imprese che hanno davvero a cuore il work-life balance e che in fase di colloquio a una donna non chiedono “ha intenzione di avere figli?” esistono e prosperano, perché un lavoratore felice è un lavoratore efficace e fedele. Il problema è che queste aziende sono poche e le loro buone pratiche poco conosciute.
Il contesto italiano tra squilibri e penalizzazioni
La realtà dominante è quella fotografata dai macro dati: siamo all’87° posto su 146 nazioni per disuguaglianze nella partecipazione economica delle donne (Gender Gap Index 2024 del World Economic Forum), tra le donne con figli piccoli il 30% è fuori dal mercato del lavoro (Istat 2024) e, dopo il primo figlio, le donne italiane perdono in media il 33% del reddito rispetto agli uomini (Child Penalty Atlas 2023).
Le iniziative per correre ai ripari non mancano: il Dipartimento per le politiche della famiglia, qualche anno fa, sul modello del Trentino, aveva avviato un modello Family Audit per certificare con un bollino le organizzazioni attente alle esigenze di conciliazione famiglia-lavoro. Adesso, il Decreto Coesione prevede l’esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali per 24 mesi per le donne disoccupate da almeno sei mesi in settori dove è evidente il gap occupazionale di genere.
Ma perché i risultati diventino strutturali, le politiche non bastano, anche le aziende devono metterci del proprio.
Uno strumento scientifico per il cambiamento
Per stimolare un cambiamento di prospettiva da parte del mondo imprenditoriale è appena nato il Family lndex, il primo strumento italiano che misura il tasso “family and natality friendly” delle aziende. Promosso dalla Fondazione per la Natalità, dal Forum delle Associazioni Familiari e dall’Osservatorio Ethos dell’Università Luiss, questo nuovo strumento valuta scientificamente l’impatto reale delle politiche aziendali sulla natalità, la genitorialità e il benessere familiare. «Questa iniziativa nasce da un dialogo concreto e costruttivo avviato con le imprese, sempre più consapevoli che la denatalità non è solo un tema demografico o sociale, ma un vero e proprio fattore di rischio per la sostenibilità economica del nostro Paese» dichiara Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità. «Se oggi un’azienda vuole attrarre e trattenere giovani talenti, deve avere il coraggio di investire nel welfare aziendale che deve diventare una leva strategica capace di sostenere chi desidera mettere al mondo dei figli». Nel medio-lungo periodo, infatti, il crollo del tasso di natalità a fronte dell’invecchiamento progressivo della popolazione diventa direttamente proporzionale a quello del PIL.
Il progetto per innovare il welfare aziendale
Il progetto Family Index prevede un’indagine nazionale, la creazione di un modello di valutazione e la raccolta e divulgazione di best practice. Finalmente quindi uno strumento scientifico e misurabile per valutare l’effettivo impatto delle politiche aziendali e dare ragioni evidenti e scientificamente validate a tutte le aziende per intraprendere la strada del cambiamento. «Vogliamo attivare processi di innovazione» dice Adriano Bordignon, Presidente del Forum delle Associazioni Familiari. «Il ruolo delle imprese è centrale nel promuovere un welfare aziendale realmente a misura di famiglia, capace di integrare la cura delle persone e la sostenibilità sociale con la crescita e la competitività».