Com’è green la mia casa

«Buono per le persone e il pianeta». Il 9 febbraio scorso Ciaràn Cuffe ha cinguettato su Twitter queste parole, subito dopo il via libera della Commissione per l’energia del Parlamento europeo all’accordo sulla proposta di direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (EPBD – Energy performance of building directive). Architetto e urbanista irlandese, dal 2019 Cuffe siede al Parlamento europeo nel gruppo dei Verdi/Alleanza libera Europa ed è il relatore sulla proposta di revisione EPBD presso la Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) del Parlamento europeo.

In un impeto di gioia, Cuffe si è lanciato in affermazioni quasi evangeliche: «Vogliamo che l’EPBD riduca la povertà energetica, riduca le emissioni e fornisca ambienti interni migliori per la salute delle persone. Questa è anche una strategia di crescita per l’Europa che offrirà centinaia di migliaia di posti di lavoro locali di buona qualità nei settori delle costruzioni, delle ristrutturazioni e delle energie rinnovabili, migliorando al contempo il benessere di milioni di persone che vivono in Europa».

Ma si sa, Dublino è molto distante da Roma e l’eco dei mal di pancia che la direttiva sull’efficientamento energetico nell’edilizia ha sollevato tra gli addetti ai lavori in Italia non dev’essere arrivata alle orecchie dell’eurodeputato irlandese. E tantomeno al Parlamento europeo.

Da dove si comincia
La strada che porta l’Europa alla transizione green è lastricata di buone intenzioni. L’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 è scolpito nei trattati internazionali, giuridicamente vincolanti per i Paesi che li sottoscrivono (il più importante è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – UNFCCC). La pietra miliare per limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C è l’Accordo di Parigi, sottoscritto e ratificato il 12 dicembre 2016 (in vigore dal 4 novembre 2016) da 194 Paesi e dall’Unione europea (Italia compresa), che impegna i Paesi firmatari a fissare ambizioni obiettivi nella lotta contro i cambiamenti climatici e presentare ogni cinque anni piani d’azione nazionali per ridurre le emissioni di CO₂ del 40% entro il 2030. E Bruxelles vuol essere la prima della classe.

(Inserire grafici gas serra 1 – 2 – 3)

A ben guardare, infatti, è un impegno politico che l’Unione europea non ha preso sottogamba, spingendosi oltre gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Nel novembre 2019, infatti, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che chiede all’Ue di fissare la neutralità climatica entro il 2050 come target a lungo termine e di aumentare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fino al 55% entro il 2030. A distanza di due anni da quella risoluzione, il Parlamento Ue ha approvato la legge europea sul clima, una monumentale opera normativa che coinvolge l’agricoltura, i rifiuti, i trasporti e l’edilizia: settori che, messi tutti insieme, sono responsabili del 60% delle emissioni Ue. Il Regolamento 2021/1119 del Parlamento e del Consiglio del 30 giugno 2021 ha una sua appendice operativa nel pacchetto “Fit for 55”: 13 proposte legislative (si va dallo scambio di quote delle emissioni di carbonio fino allo stop alla vendita di veicoli a benzina e diesel), che si allineano a un altro caposaldo delle politiche comunitarie in materia di cambiamento climatico: il Green deal europeo, una rigida tabella di marcia per centrare l’obiettivo di trasformare l’Europa nel primo continente al mondo a impatto zero. Sul calendario di Bruxelles l’anno 2050 è circondato di verde.

Video: https://multimedia.europarl.europa.eu/it/video/x_N01_AFPS_220715_GDEX (recuperare screenshot per immagine illustrativa)

Un mattone verde
Ed è proprio in questo intricato reticolo di risoluzioni, regolamenti e direttive che si inserisce la proposta di direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia, presentata il 5 dicembre scorso dal vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, avallata dalla Commissione industria, ricerca ed energia (Itre) e approvata dalla Commissione per l’energia a febbraio. Il tema è delicato e le stesse istituzioni europee hanno impiegato più di dieci anni per arrivare a una quadra del problema (la prima versione della direttiva EPBD risale al 2002) e, quindi, individuare una nuova disciplina sul consumo d’energia degli edifici per renderli climaticamente neutri entro il 2050.

(foto: Frans Timmermans)

I tecnici di Bruxelles hanno calcolato che gli edifici residenziali sono responsabili del 40% del consumo energetico e che contribuiscono per il 36% alle emissioni di gas serra di tutta l’area Ue. Un lavoro certosino, se consideriamo che lo stock immobiliare in Europa conta oltre 300 milioni di case; di queste più di 220 milioni di unità, pari all’85% del parco immobiliare dell’Ue, sono state costruite prima del 2001. In altre parole, circa il 75% del patrimonio immobiliare europeo è inefficiente dal punto di vista energetico. E bastano queste percentuali per inquadrare la gravità del problema.

Il programma si chiama, un po’ aulicamente, “Renovation wave” (ondata di rinnovamento), una gemmazione del Green deal europeo che ci aiuta a comprendere il contesto economico su cui poggia la direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (EPBD) 2010/31/UE e la direttiva gemella sull’efficienza energetica (EED) 2012/27/UE. In soldoni, si tratta di ristrutturare 35 milioni di edifici in tutta Europa entro il 2030 per arrivare a ridurre le emissioni di gas a effetto serra degli edifici del 60%, il loro consumo finale di energia del 14% e il consumo di energia per il riscaldamento e il raffreddamento del 18%.

Il piatto piange
In una comunicazione al Parlamento, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo del 14 ottobre 2020, la Commissione europea ha stimato che, per raggiungere l’obiettivo climatico del 55% entro il 2030, siano necessari circa 275 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi all’anno. Una montagna di soldi che, secondo i tecnici di Bruxelles, si potrebbero ricavare dal quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e dal NextGenerationEU, che potrebbe destinare il 37% della dote da 672,5 miliardi alle spese legate al clima, per sostenere gli investimenti per la ristrutturazione e le riforme legate all’efficienza energetica in tutti gli Stati membri. Solo per mettere a norma le case di 35 milioni di europei che non possono permettersi di riscaldare adeguatamente il proprio alloggio (parliamo di interventi come cappotto termico, sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione, pannelli solari) è stato calcolato che servono almeno 57 miliardi di euro in più per ristrutturare ogni anno 800 mila alloggi sociali.

A distanza di due anni dalla comunicazione della Commissione non è ancora chiaro dove andare a prendere i soldi. La proposta di direttiva EPBD ipotizza la creazione di un fondo ad hoc, “l’Energy performance renovation fund”, che potrebbe pescare nel pozzo dei fondi europei e cofinanziato dai singoli Stati. Ma al di là delle rassicuranti parole dei vertici delle istituzioni europee, dal presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola in giù, per ora nulla di concreto.

(foto Metsola)

Che cosa dice la direttiva
La direttiva EPBD, ribattezzata in Italia «case green», è stata approvata il 9 febbraio scorso con 49 voti a favore, 18 contrari e sei astenuti, superando di slancio anche le perplessità della Banca centrale europea che in una lettera aperta aveva sollevato il sopracciglio sui criteri elusivi, sulle difficoltà di armonizzazione e sui problemi di difformità tra i sistemi economici contenuti nella direttiva. Del resto, la Polonia (per citarne una) non ha la stessa sensibilità ambientale di Paesi come l’Olanda o la Svezia.

Per rispettare la tabella di marcia e arrivare al 2050 con edifici a emissione zero, l’EPBD stabilisce che entro il 1° gennaio 2030 tutti gli immobili residenziali dovranno rientrare nella classe energetica E, mentre nel 2033 sarà obbligatorio passare alla classe D. Si “salvano” gli edifici di pregio artistico, storico, di culto, le seconde case e quelle con una superficie inferiore a 50 metri quadrati. Un notevole upgrade che richiede un taglio dei consumi energetici di circa il 25%.

Inserire tabella classificazione energetica degli edifici (Fonte Acea *EPgl: Indice di prestazione energetica globale)

La Commissione per l’energia del Parlamento Ue ha espunto tutto il capitolo dedicato alle sanzioni (per cui non dovrebbero esserci per ora limitazioni alla vendita o all’affitto di case che non hanno il bollino verde dell’Ue), lasciando la patata bollente in mano ai governi che saranno chiamati a decidere se e quali sanzioni applicare e, aspetto tutt’altro che secondario, quantificare la perdita del valore degli immobili fuori norma. La partita, tuttavia, è ancora aperta e il testo approvato dalla Commissione per l’energia dovrà ora passare al vaglio della plenaria a Strasburgo a metà marzo, passaggio obbligato per arrivare alle trattative con i Paesi membri per l’approvazione definitiva.

I nodi al pettine
Nonostante le rassicurazioni di Timmermans che, strizzando l’occhio all’Italia, ha affermato: «Nessun burocrate di Bruxelles confischerà la vostra casa se non è ristrutturata», il nodo “case green” è uno di quelli che fa alzare la temperatura dello scontro politico nell’arena istituzionale dell’Ue. E molti Paesi, non ultima l’Italia, stanno già affilando le spade.

Al di là delle contrapposizioni ideologiche che la questione solleva, l’applicazione della direttiva EPBD in Italia pone una serie di problemi oggettivi che devono essere tenuti in considerazione per passare dagli obiettivi legislativi agli interventi “sul campo”. Sebbene nessuno metta in discussione i principi green che hanno ispirato la mano del legislatore europeo, nel momento in cui si cala la direttiva sulla realtà immobiliare italiana è tutto un fiorire di puntualizzazioni, precisazioni e dichiarazioni (vetustà del patrimonio immobiliare, tempistiche troppo strette, svalutazione del patrimonio immobiliare, aumento dei prezzi dei materiali, scarsa disponibilità finanziaria delle famiglie…) che respingono la direttiva al mittente.

Partiamo dai numeri
L’ultima indagine “Gli immobili in Italia” del Mef e dell’Agenzia delle Entrate ci offre una proporzione dello stock immobiliare in Italia, che nel 2016 contava oltre 57 milioni di unità abitative e poco più di 19,5 milioni di queste sono classificate come abitazioni principali possedute da persone fisiche. Il valore medio di un’abitazione e pari a 162 mila euro: un dato che porta il valore complessivo del patrimonio abitativo oltre la soglia dei 6 mila miliardi di euro. Secondo i calcoli della Commissione europea gli immobili residenziali da ristrutturare in Italia entro il 2033 (quelli ricompresi nelle classi energetiche E, F, G) sono 12,2 milioni. E qui si solleva una prima eccezione.

(foto: Torino)

L’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) dice che su 12,2 milioni di edifici residenziali oltre 9 milioni «non sono in grado di garantire le performance energetiche indicate dalle nuove normative e soprattutto nei tempi brevi previsti». Inoltre, per mettere a norma 2,2 milioni di unità immobiliari occorrerebbero circa 200 mila interventi, per un costo che si aggira tra i 40 e i 60 miliardi di euro ogni anno: un costo insostenibile per le tasche degli italiani senza un adeguato sistema di incentivi e di strumenti finanziari. Di più. L’esperienza dei risultati precedenti al Superbonus di interventi su interi edifici (quelli che l’Europa ci impone di realizzare) mostra numeri insignificanti (2.900, in media di anno, tra il 2018 e il 2020). «Con questi ritmi, la decarbonizzazione del patrimonio edilizio, fissata per il 2050, sarebbe completata in un orizzonte di 3.800 anni», incalza l’Ance. Alla luce della bozza di direttiva, il primo step, fissato sul 15% degli edifici, non sarebbe raggiungibile prima di 630 anni.

Da Helsinki ad Atene

A supporto della tesi dell’Ance arrivano altri numeri: questa volta dall’Enea. L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile sostiene che 11 milioni di abitazioni, cioè il 74%, sono in classe energetica inferiore alla D, sottolineando con un pizzico di veleno che la definizione della classe energetica D non è uguale in tutti i Paesi europei. Questione di latitudini: circa 3.400 chilometri separano Helsinki (la capitale più a Nord) da Atene (la capitale più a Sud). Senza contare poi che l’Italia dal 1993 è suddivisa in sei zone climatiche in base alla temperatura media giornaliera e le escursioni termiche possono variare da +30° a -15/20° a seconda delle stagioni. Dettagli che sembrano essere sfuggiti a Timmermans, il padre putativo della direttiva.

(foto: cappotto)

La mappatura degli edifici più energivori, relativo agli attestati di prestazione energetica (APE) emessi nel 2020, va ancora più a fondo. Alla fine dello scorso anno è stato presentato il Rapporto Enea-CTI

sulla Certificazione Energetica degli Edifici che indica un miglioramento delle prestazioni energetiche nel settore residenziale. Dei circa 950 mila APE analizzati, tre quarti riguardano immobili costruiti prima del 1991 e quasi il 6% quelli più recenti (2016-2020); ma il dato che balza all’occhio è un altro: il peso delle categorie più energivore (E, F, G) raggiunge il 75%: la classe energetica G (che corrisponde a un consumo superiore a 3,50 kWh/m2anno) incide per il 35% sul totale; la classe F (con consumi tra 121 e 160 kWh/m2anno) pesa per il 23,8% e la classe E (tra 90 e 120 kWh/m2anno)15,9%.

Carissima casa

Il tabellino di marcia imposto dalla direttiva case green richiederebbe uno sforzo enorme – se non impossibile – per ristrutturare 9 milioni di edifici, pari a circa 20 milioni di unità abitative, nei prossimi dieci anni. L’esperienza maturata con il Superbonus 110% non è incoraggiante. Al di là delle criticità normative, negli ultimi due anni sono state depositate circa 360 mila asseverazioni, la maggior parte riferite a edifici unifamiliari. Burocrazia permettendo, con questo ritmo si arriverebbe a ristrutturare poco meno di 2 milioni di edifici in dieci anni. Un target molto lontano rispetto alla tempistica stabilita dalla direttiva: entro il 2030 gli immobili in classe energetica F o G dovranno passare in classe E. Entro il 2033, poi, ci dovranno essere solo abitazioni che siano almeno in classe D. Sono i primi due step per avere entro il 2050 edifici a emissione zero.

(foto: amianto)

Facciamo un passo avanti. Per il salto di classe e, quindi, per ridurre i consumi energetici di circa il 25% degli edifici bisogna mettere in conto diversi interventi come il cappotto termico, la sostituzione degli infissi o la sostituzione della caldaia con una nuova a condensazione. Per avere un’idea dei costi richiesti abbiamo simulato due modelli per il passaggio alla categoria energetica D, in funzione di alcuni parametri che tengono conto della tipologia di edificio (condominio/casa singola) e la posizione geografica delle città.

 

Tipologia 1  

Modello: edificio multipiano/condominio (fino a 4/6 piani)
Luogo: città del nord – Pianura Padana
Altitudine: mt 100/ 150 slm
Orientamento: nord/est/ovest
Unità abitativa: 70/80 mq

Lavori da eseguire:
Tetto fotovoltaico con 6,5 KW per unità abitativa
Generatore ibrido
Batteria accumulo
Termosifoni ad alta capacità

Costo stimato: 500/650 euro mq

 

Tipologia 2

Modello: edificio abitativo singolo (fino a 2 piani)
Luogo: paese/periferia cittadina del nord
Altitudine: 100/150 slm
Orientamento: facciate sui quattro assi
Unità abitativa: 120/150 mq

Lavori da eseguire:
Pareti isolate
Sostituzione serramenti
Generatore ibrido
Termosifoni ad alta capacità

Costo stimato: 650/750 euro mq

 

Sostenibilità integrata

Il carico di spesa può variare da modello a modello e soprattutto da città a città. Le nuove prescrizioni, inoltre, impatteranno tanto sugli edifici di nuova costruzione quanto su quelli esistenti.  Alla luce degli obiettivi perseguiti dalla direttiva, dovranno essere rivisti tutti i regolamenti su edilizia, impianti e materiali. Non solo, per raggiungere un sistema integrato di sostenibilità ambientale occorre aggiungere altri costi, ad esempio punti di ricarica delle auto elettriche nei condomini e sistemi smart per la gestione dell’energia, sia elettrica sia termica. La sfida è quasi proibitiva, anche perché occorre pertanto definire chiaramente tempi e modalità in sede Ue poi in Italia, andando di pari passo con la promozione di incentivi certi e duraturi. Serve cioè procedere con una strategia chiara e non con proroghe all’ultimo minuto o continui cambiamenti regolatori tecnici e fiscali ad ogni legge di bilancio. Solo così sarà possibile affrontare questa sfida coinvolgendo i cittadini e migliorando il nostro Paese.

 

*hanno collaborato: Maria Pungetti, Matteo Tellaroli e Flavio Piva

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