Le pandemie sono eventi naturali che si ripetono nel tempo. Prima o poi ci si ritroverà ad affrontarne una nuova. Per arginare i danni dobbiamo non solo fare tesoro di ciò che il Covid ci ha insegnato, ma anche adottare comportamenti virtuosi con l’aiuto dei vari governi e istituzioni. Che devono imparare ad agire per il bene comune.
«La storia ci insegna che la prossima pandemia sarà una questione di quando, non se. Potrebbe essere causata da un virus influenzale, o da un nuovo coronavirus, oppure potrebbe essere causata da un nuovo agente patogeno che ancora non conosciamo, quella che chiamiamo Malattia X», ha detto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore Oms al summit dei governi mondiali che si è tenuto lo scorso febbraio.
Del resto le pandemie sono eventi naturali che si ripetono periodicamente nel tempo, ciò che il mondo della scienza deve ancora capire è se gli allevamenti intensivi, la riduzione degli spazi dedicati agli animali selvatici e la promiscuità, soprattutto in certe aree del mondo, possono agire da acceleratori per lo sviluppo di nuove pandemie, così come il cambiamento climatico sta facendo sugli eventi atmosferici. Sul prossimo tipo di pandemia non si sa nulla di certo, come ha giustamente detto Ghebreyesus, ma è certo che il 75% delle malattie che colpiscono l’uomo ha origine animale e che in un mondo altamente interconnesso come è quello in cui viviamo possono diffondersi molto velocemente. Incognite da gestire prima di tutto con l’adozione di comportamenti virtuosi in grado di ridurne i rischi. Quali? Instaurare un corretto rapporto tra il mondo degli animali domestici e quelli selvatici, con un adeguato rispetto degli spazi e dell’autonomia dei secondi; rispettare e curare in modo corretto gli animali all’interno degli allevamenti; avere una corretta valutazione e mitigazione degli allevamenti intensivi, per definizione luoghi dove molti animali vivono a stretto contatto facilitando così la trasmissione di malattie; corretto uso della biosicurezza, quell’insieme insieme di regole di comportamento, tecniche gestionali o assetti organizzativi e strutturali, che possono contribuire alla difesa dell’allevamento dall’ingresso e/o dalla diffusione di malattie. E ancora: un’adeguata igiene personale (lavarsi le mani con frequenza); una gestione corretta degli animali domestici nelle abitazioni, soprattutto dal punto di vista sanitario; una riduzione delle contaminazioni e un adeguato rispetto nei confronti dell’ambiente antropizzato che ci circonda. Azioni virtuose che, in caso di nuove pandemie, aiuterebbero a ridurne molto l’impatto.
Il ruolo delle istituzioni
Ma non basta. Per contenere efficacemente le conseguenze di una possibile pandemia la capacità di istituzioni e governi di affrontare i problemi sanitari su scala territoriale e globale è fondamentale. La nostra salute, il nostro benessere, la nostra prosperità dipendono proprio da questa unione di intenti. Ci stiamo muovendo nella giusta direzione? La risposta è no. E’vero, sono stati fatti passi in avanti, ma siamo ancora impreparati ad affrontare una nuova pandemia. Questo fondamentalmente a causa di un gap culturale ed economico tra le diverse parti del mondo. Nei Paesi più sviluppati, infatti, la sensibilità verso queste tematiche durante il post Covid è molto aumentata, ma in quelli in via di sviluppo la situazione è più complessa. Per ovviare a questa disparità i Paesi più evoluti dovrebbero supportare la conoscenza e la diffusione delle buone pratiche nelle aree sottosviluppate, facendo comprendere, ai vari governi e istituzioni locali, che il rispetto di regole igieniche non ostacola lo sviluppo economico, anzi, lo aiuta.
In questa direzione le nazioni più provate dall’ultima pandemia hanno una doppia responsabilità: da una parte fare tesoro di ciò che hanno vissuto e dell’esperienza maturata adottando azioni responsabili. E, dall’altra, trasferire questa conoscenza ai Paesi in fase di sviluppo con obiettivi raggiungibili nel medio lungo periodo.
Ciò non significa far calare la formazione dall’alto, ma creare una classe dirigente nelle aree in via di sviluppo preparata e consapevole. E il mondo delle professioni in questo campo potrebbe fare molto. Così come molto farebbe rendere il nostro Paese più attrattivo per gli studenti esteri, come già stanno facendo Francia, Usa e Inghilterra, perché questo significa avere la possibilità di trasferire il nostro modus operandi in tutto il mondo e contemporaneamente alimentare un network culturale ed economico.
Le leve che fanno la differenza
Due le leve da utilizzare per raggiungere questo target: la valorizzazione dei professionisti come classe dirigente e la coerenza di azioni tra i vari ministeri che impattano sulla sanità del Paese: Salute, Agricoltura, Ambiente, Sviluppo economico e degli Esteri. Le epidemie, infatti, non colpiscono solo sulla sanità di una nazione ma anche la sua economia e società, andando a toccare direttamente la sua ricchezza.
Ma è importante anche muoversi a livello internazionale. Non a caso nel 2022 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Organizzazione mondiale per la salute degli animali (Woah, in precedenza Oie), hanno lanciato il nuovo piano d’azione One Health con l’obiettivo di creare un quadro nel quale si integrino i sistemi e le capacità congiunte al fine di prevenire, prevedere, rilevare e rispondere meglio alle minacce per la salute. Sviluppato attraverso un processo partecipativo, il nuovo piano fornisce una serie di attività che mirano a rafforzare la collaborazione, la comunicazione, lo sviluppo delle capacità e il coordinamento in modo equo in tutti i settori che coinvolgono la salute umana, animale e dell’ambiente. Si concentra su sei aree: epidemie zoonotiche emergenti e riemergenti, zoonosi endemiche, malattie tropicali trascurate e trasmesse da vettori, sicurezza alimentare, resistenza antimicrobica e ambiente.
Nel frattempo Fao, Whoah e Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), stanno collaborato con Oms per la realizzazione di un Trattato pandemico, attualmente in discussione a Ginevra e destinato a essere approvato entro la fine di maggio. Obiettivo: permettere alla comunità internazionale di non trovarsi di nuovo impreparata nella risposta a una prossima pandemia. Un’iniziativa animata da buone intenzioni che però ha subìto diverse pressioni politiche ed economiche tese a salvaguardare gli interessi dei singoli stati, animati dal profitto più che dall’interesse di sicurezza sanitaria globale. Ci vorrebbe invece un’azione più corale dove obiettivi e interessi siano davvero condivisi da tutti i Paesi. Solo così si potrà creare sicurezza e opportunità di crescita continua per tutti.