Le recenti riforme hanno indubbiamente migliorato il funzionamento della giustizia tributaria, che oggi gestisce cause per un valore di circa 40 mld di euro, pari al 2% del Pil. Ma non mancano spazi di miglioramento. A partire dallo smaltimento dell’arretrato fino all’indipendenza dal ministero dell’Economia.
«La giustizia tributaria ha un ruolo importantissimo essendo chiamata a contemperare al meglio le pretese impositive dello Stato con il diritto del cittadino contribuente ad avere un sistema fiscale equo», ha detto Carolina Lussana, ex deputata della Lega oggi alla guida del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt), lo scorso 5 Marzo alla Camera dei deputati, aggiungendo che «Ogni anno vengono gestite cause per un valore complessivo di circa 40 miliardi di euro, pari a 2 punti percentuali di Pil, come una manovra finanziaria». L’intervento della presidente, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziario tributario del 2024, ha anche messo in risalto come il «fine ultimo» dell’attività esercitata da quanti operano nel comparto – poco meno di 3.000 soggetti, tra giudici togati, professionisti e personale proveniente dalla Pubblica amministrazione – sia quello della «redistribuzione delle risorse per la collettività, attraverso la spesa pubblica e i corretti rapporti fra gli operatori economici, lo Stato, la famiglia, e l’impresa». Funzioni che le recenti riforme hanno indubbiamente migliorato.
Ricorsi in calo
Ma quali sono le cifre principali che restituiscono un’immagine il più possibile ampia dell’azione del Cpgt? Lussana le ha snocciolate così: lo scorso anno «sono pervenuti presso le Corti di giustizia tributaria di primo grado 138.372 ricorsi, e quelli definiti sono stati 139.203», mentre, volgendo lo sguardo a quanto avvenuto nell’annualità precedente, ne erano arrivati 145.984 e quelli risolti avevano raggiunto quota 135.066. «Lo scorso anno, dunque, rispetto al 2022, presso le Corti di giustizia tributaria di primo grado sono pervenuti 7.612 ricorsi in meno, ma ne sono stati definiti 4.137 in più», laddove, ha proseguito, i ricorsi pendenti conteggiati nel 2022 erano 159.299, mentre nel 2023 vi era stata una discesa, giungendo a 158.468, con un calo di 831 unità (il decremento era stato dello 0,5%).
A seguire, ha poi sottolineato che, «nelle Corti di giustizia tributaria di secondo grado gli appelli pervenuti nel 2023 sono stati 36.916, quelli definiti 52.915», mentre l’anno prima erano stati 41.058 e quelli definiti 54.915, a conferma così di un «trend», come per il primo grado, che vede un numero maggiore di risoluzioni, al confronto con le cause sopravvenute. «Nel dettaglio, nel 2023 rispetto all’anno precedente presso le Corti di giustizia tributaria di secondo grado sono giunti 4.142 appelli in meno, e ne sono stati definiti 2000 in più» e, poi, per quanto concerne gli esiti, «in primo grado il 48,9% delle sentenze è stato favorevole agli uffici impositori, il 29% al contribuente, e circa il 10% ha previsto ipotesi di accoglimento parziale del ricorso proposto dal contribuente. Valori – ha chiarito Lussana – che appaiono sostanzialmente analoghi in secondo grado, dove i giudizi integralmente favorevoli al contribuente sono stati il 27%».
È utile, poi, puntare i riflettori sulla questione dei tempi di definizione dei procedimenti in primo e secondo grado che, ha voluto rimarcare la presidente, «come per gli anni passati, si confermano i migliori di tutte le altre giurisdizioni: in primo grado si è passati dai 652 giorni del 2021 ai 571 del 2022, per arrivare ai 430 del 2023, con una riduzione in 2 anni pari ad oltre 7 mesi (222 giorni)» e, a seguire, «in secondo grado si è, invece, passati dai 1.079 giorni del 2021 ai 973 del 2022, per approdare ai 970 del 2023, con una riduzione in 2 anni pari a quasi 4 mesi (109 giorni)».
Troppo lavoro arretrato
Insieme a tali cifre, il Cpgt ha posto l’accento su come, rispetto al 2022, sia aumentato pure «il dato relativo al numero medio di controversie discusse per singolo giudice: in primo grado s’è passati dalle circa 100 del 2022 alle quasi 130 del 2023, in secondo grado dalle 100 liti del 2022 alle 109 del 2023». L’analisi esposta fin qui, a Montecitorio, ha permesso a Lussana di proclamare che «la giurisdizione tributaria presenta numeri di assoluto rilievo: 12.482 giorni di udienza, 19.608 udienze, 571 sezioni operative in media, 274.898 tra ricorsi e appelli discussi». E anche che «il valore medio dei ricorsi definiti in primo grado è stato pari a 95.211 euro, quello – sempre mediamente – degli appelli definiti in secondo grado di 188.783 euro. Discorso diverso – ha, però, ammesso – in Cassazione dove l’arretrato, seppur in via di riduzione, è sempre su numeri molto alti. Ed incide notevolmente sulla durata dei procedimenti».
Nel documento illustrato ai parlamentari, sono presenti alcune «ombre», tra cui la constatazione che «le definizioni agevolate che si sono susseguite dal 2016 al 2023 non hanno riscosso lo sperato successo presso i contribuenti, determinando un taglio complessivo di appena 11.700 liti fiscali». E, si legge ancora, «anche nel 2024 – probabilmente – non ci sarà l’auspicata inversione di rotta, in quanto chi non ha aderito alla «rottamazione» ha avuto a disposizione la sospensione dei termini per le impugnazioni per 11 mesi».
Più indipendenza da via XX Settembre
C’è, poi, da affrontare una faccenda oggetto di annoso dibattito, relativa alla componente professionale (in prevalenza vi sono avvocati e commercialisti): questa «fetta» di personale non togato in forze alla giustizia tributaria, ha ricordato la presidente, «fissato in 576 unità complessive, fra primo e secondo grado, soltanto il tempo potrà dirci se è rispondente alla ormai irrinunciabile necessità di veder celebrato un processo in tempi rapidi».
E, inoltre, c’è quello che è stato bollato come «il tema nevralgico della indipendenza dal ministero dell’Economia». Nella Relazione si riferisce che «l’esigenza di assicurare terzietà, imparzialità e indipendenza è particolarmente avvertita nella giustizia fiscale, dove da sempre si era lamentata, per esempio, l’assenza di potere gerarchico da parte dei giudici sul personale di segreteria delle Commissioni (adesso Corti), dipendente» dal dicastero di via XX settembre, che «non può essere reputato equidistante rispetto agli interessi delle parti processuali. È vero che la gestione dei tributi è affidata alle Agenzie fiscali, e che parte del processo tributario sono quest’ultime, e non il ministero dell’Economia, ma – ha evidenziato Lussana, in conclusione – esse sono sostanzialmente dei suoi Enti strumentali». E un simile contesto «può ingenerare nel cittadino l’errato convincimento di una minore terzietà e imparzialità del giudice fiscale che, come ogni giudice, non solo deve essere terzo ed imparziale», ma deve anche «apparire come tale».