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L’economia globale alla prova della transizione tecnologica

Di fronte alla Terza Rivoluzione Industriale, preconizzata dall’economista Jeremy Rifkin, l’Italia deve decidere da che parte stare: tra innovazione sostenibile e resistenza al cambiamento, il prossimo decennio sarà decisivo.

Nel suo saggio “La Terza Rivoluzione Industriale”, l’economista e sociologo statunitense Jeremy Rifkin anticipava uno scenario in cui l’interconnessione tra internet, energie rinnovabili e nuovi modelli di produzione avrebbe rivoluzionato l’economia globale. A più di dieci anni da quella previsione, il mondo si trova esattamente sull’orlo di quella trasformazione. Ma cosa significa, in termini concreti, per il tessuto tecnologico, ambientale ed economico dell’Italia? Quali tecnologie sono destinate a scomparire e quali prenderanno il sopravvento?

Le tecnologie che ci saluteranno

Secondo la visione rifkiniana, le tecnologie ad alto impatto ambientale, lineari e centralizzate sono destinate al declino. Le prime a sparire saranno le centrali elettriche a carbone e a gas, ancora presenti nel mix energetico italiano, sebbene in riduzione. L’Europa ha già fissato il phase-out del carbone entro il 2030, e l’Italia, nonostante alcune resistenze locali e industriali, sarà obbligata a seguirne la scia.

Anche il motore endotermico è destinato a uscire di scena. Con lo stop europeo alla vendita di auto a benzina e diesel dal 2035 e il crollo dei costi delle batterie, l’elettrificazione della mobilità è una strada tracciata. Questo comporterà anche il tramonto delle officine meccaniche tradizionali, che dovranno riconvertirsi per sopravvivere.

Infine, tra le tecnologie “a perdere” ci sono i modelli produttivi verticali e centralizzati, tipici del Novecento: grandi fabbriche, filiere lunghe e poco flessibili. La diffusione di stampanti 3D, microfabbriche e piattaforme collaborative online li renderà rapidamente obsoleti, soprattutto in un tessuto produttivo frammentato come quello italiano.

Le tecnologie del futuro

Il futuro secondo Rifkin è decentrato, digitale e sostenibile. Le energie rinnovabili, in particolare solare ed eolico, saranno le protagoniste indiscusse. L’Italia, grazie alla sua esposizione solare e alle innovazioni nel fotovoltaico distribuito, è in una posizione favorevole. Ma serve accelerare su accumulo e reti intelligenti.

In parallelo, il green hydrogen (idrogeno verde), prodotto da elettrolisi con energia rinnovabile, si candida come soluzione per i settori hard-to-abate come la siderurgia e il trasporto pesante. Il governo italiano ha già avviato investimenti significativi tramite il PNRR, ma la partita è appena iniziata.

Un’altra tecnologia che dominerà il prossimo decennio è quella dell’Internet of Things (IoT) applicata all’efficienza energetica: edifici intelligenti, città connesse e sensori diffusi renderanno i consumi più trasparenti e ottimizzati.

Sul piano del lavoro, però, la sfida è enorme: molte professioni scompariranno, altre nasceranno. Serviranno tecnici delle rinnovabili, esperti di AI e data science, manutentori di impianti smart, figure oggi ancora poco presenti nel sistema formativo italiano. Il rischio è una polarizzazione del mercato, con lavoratori altamente qualificati da un lato e nuove sacche di disoccupazione dall’altro.

Un bivio per l’Italia

L’Italia si trova oggi a un bivio. Può decidere se essere parte attiva di questa rivoluzione o subirla. La digitalizzazione e la transizione ecologica non sono solo necessità ambientali, ma anche opportunità economiche. Rifkin ci ricorda che ogni rivoluzione industriale ha ridisegnato radicalmente il mondo del lavoro e le relazioni sociali. La differenza, oggi, è che il tempo a disposizione è molto meno.

Servono visione politica, investimenti strutturali, riforme del mercato del lavoro e soprattutto una rivoluzione culturale che metta al centro la sostenibilità. Le tecnologie cambiano, ma è la nostra capacità di adattamento che farà davvero la differenza.

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