Il lavoro non è una merce, non è un fattore produttivo come tutti gli altri. Il lavoro è valore sociale, capitale sociale, progetto di crescita, partecipazione, fattore di emancipazione, giustizia e benessere per tutti. Il lavoro come bene comune, con al centro la persona che, in quanto tale, si realizza nella relazione comunitaria con le altre persone. Il richiamo alla centralità del lavoro come pilastro della convivenza democratica, terreno privilegiato di manifestazione della libertà e della dignità, porta con sé l’idea di una poliarchia, in cui espressioni diverse di poteri, interessi e saperi si bilanciano e si armonizzano in una costante tensione dialettica. Anzitutto nel confronto tra democrazia diretta e rappresentativa.
È in questa stagione che la tutela e la dignità del lavoro, il giusto salario, il sistema di previdenza e assistenza più in generale, il concetto di bene comune si affermano come obiettivi e valori di una costituzione materiale, di cui si rinviene traccia già nel Codice di Camaldoli del 1943, e che avranno nella “Carta” la loro piena legittimazione. In questa architettura il Cnel risponde a una consapevolezza che si fa strada nella nuova classe dirigente dell’Italia repubblicana: la rappresentanza politica non è sufficiente a intermediarie tutte le istanze e ad assorbire tutti i conflitti che irradiano e segmentano la società e i processi economici. La complessità dello Stato sociale, sovraccaricato di compiti e di domande di intervento, impone che vi siano sedi nelle quali possa essere recuperata quella visione di insieme dei grandi processi in corso, e nella quale possano avere voce e confrontarsi i segmenti sempre più articolati delle istituzioni, dell’economia e della società.
Un laboratorio di riforme
Come disse con icastica metafora nel suo discorso di insediamento il primo presidente del Cnel, Meuccio Ruini, qui si getta «un ponte fra i due momenti dell’esame e dell’azione» formulando «conclusioni e proposte, non per intralciare Parlamento e Governo, ma per offrire loro salde e utili piattaforme di azione».
Ne sarà un esempio l’istruttoria che stiamo compiendo sul tema del lavoro povero e del giusto salario, per incarico del Presidente del Consiglio dei ministri, che chiama il Cnel al compito di offrire ai decisori politici e, più in generale, al dibattito pubblico, elementi condivisi di analisi e di proposta: è questa la bussola di un’azione politica competente, seria e responsabile.
Questo incarico conferma, anche, la centralità del nostro archivio dei contratti collettivi. Un corpo vivente, specchio della ricchezza delle nostre relazioni industriali: una bellissima “selva selvaggia” fatta di storie, culture materiali e conflitto, complessità, interessi e sensibilità settoriali. Mondo, quello della contrattazione, che non tollera semplificazioni…
E proprio qui, in questa casa, si possono trovare molte delle risposte che le istituzioni europee sollecitano, e mi riferisco ai doveri di monitoraggio e di trasparenza raccomandati dalla direttiva europea, dello scorso anno, in tema di salari adeguati. L’idea di coniugare in una stessa sede questione salariale e produttività candida, inoltre, il Cnel quale possibile laboratorio di quelle riforme necessarie per raggiungere una crescita economica socialmente sostenibile: più sviluppo, più salari, più produttività, più welfare. Più benessere…
Investire sui corpi intermedi
Usciamo da un decennio che ha segnato una crisi della democrazia, crisi intesa come svuotamento della rappresentanza, e progressiva marginalizzazione dei corpi intermedi. L’illusione di una società disintermediata si è poi infranta sulle crisi globali dell’ultimo triennio, la pandemia e la guerra in Ucraina tra tutte, di fronte alle quali le democrazie hanno espresso la migliore difesa quanto più hanno messo in gioco la pienezza della propria ricchezza sociale e comunitaria, attivando cooperazioni e solidarietà capaci di fronteggiare l’emergenza.
Su scala nazionale sono prova di questo spirito i protocolli condivisi per il contrasto e il contenimento della diffusione della pandemia negli ambienti di lavoro, per trovare il giusto equilibrio tra le esigenze della produzione e la necessità di garantire condizioni di sicurezza per tutti i lavoratori, a partire da quelli più fragili.
Le rivoluzioni digitali e ambientali in atto sono le due coordinate cartesiane destinate a cambiare il lavoro e la vita di 400 milioni di persone nel Vecchio Continente. E una terza dimensione, quella demografica, le interseca e impone di fare i conti con un crescente invecchiamento della popolazione. Un vero e proprio inverno demografico. Processi di questa portata non sono privi di effetti asimmetrici sulle società. C’è il rischio di aprire un solco tra “chi” dalle transizioni trae benefici e “chi”, invece, le subisce. Ed è in questi momenti che i veri protagonisti delle transizioni devono essere i corpi intermedi della società.
Se, però, gli stessi corpi intermedi cedono alla polarizzazione del dibattito politico ed economico, se si arroccano in una resistenza diffidente e conflittuale (in una sorta di neoluddismo…): sarà una sconfitta per tutti. Bisogna tornare a reinvestire sui corpi intermedi.
Il Cnel può essere, dunque, il luogo capace di trasformare i legittimi interessi di cui i “corpi intermedi” sono portatori in responsabilità e virtù civiche. Ciò vuol dire aggiornare e ridisegnare, in una visione rinnovata della nostra società, le conquiste novecentesche in tema di lavoro, salari, distribuzione dei guadagni di produttività, democrazia economica, partecipazione. Ma vuol dire anche gestione consapevole dei flussi migratori per rispondere alla domanda di manodopera che viene dall’economia. Migliore gestione dei flussi regolari significa più cultura dell’accoglienza. Più risorse per crescere insieme nella piena cittadinanza.
Merito e responsabilità
L’esperienza degli ultimi tre anni ci conferma che per correggere le asimmetrie e le diseguaglianze aperte dalle crisi in atto, per guidare le opportunità della tecnica, per governare l’interdipendenza dei processi economici e civili, è necessaria una nuova economia sociale di mercato, la sola capace di attivare le energie delle libertà individuali e le garanzie delle solidarietà collettive, condivise in uno spirito sussidiario tra Unione europea e singole sovranità, tra governo e cittadini, tra istituzioni e corpi intermedi, tra pubblico e privato. Parte rilevante di questa responsabilità sussidiaria è la ridefinizione del ruolo del merito nelle società contemporanee, della sua misurazione e della sua giustificazione. Poiché è in questa Sede che il merito, confrontandosi con gli interessi e i bisogni sociali, può diventare una risorsa per la collettività, nella ricerca di soluzioni condivise su problemi complessi. Merito e responsabilità, merito e generosità sociale e intergenerazionale.
E finisco con parole non mie: “Realizzare nel Cnel il confronto tra le parti sociali e la concertazione, senza escludere un loro diretto rapporto di interlocuzione con il Governo per quanto riguarda i temi generali di politica economica e sociale. La verifica di questo modello emergerà dalle vicende dei prossimi anni, ma si tratta di un interrogativo che costituisce caratteristica comune a tutte le scelte innovative”.
A queste parole scritte oltre 36 anni fa dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella veste di Relatore della riforma proprio del Cnel, vogliamo rispondere oggi con la più convinta e motivata volontà positiva: nell’interesse esclusivo della Nazione.