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La bioeconomia vale oltre 3mila miliardi. L’Italia protagonista

La bioeconomia supera i 3mila miliardi di euro in Europa e si conferma uno dei motori della transizione sostenibile. L’Italia gioca un ruolo di primo piano con un contributo del 14% soprattutto in agricoltura, packaging e ricerca. Un settore in espansione che intreccia innovazione, sviluppo territoriale e sfida ambientale.

Quanto vale la bioeconomia in Europa? Per la prima volta uno studio ha provato a fare il punto a livello europeo sull’output delle attività che utilizzano materie prime di origine rinnovabile e biologica. Si tratta di oltre 3mila miliardi di euro, cioè l’8,7% dell’intera economia dei 27 Stati europei. La Bioeconomia si conferma così uno dei settori chiave per la transizione verso un modello più sostenibile e l’Italia c’è eccome: con 426,8 miliardi di euro mantiene una posizione di rilievo, rappresentando il 14% dell’intero settore europeo.

Bioeconomia made in Italy: tra giganti e startup

I dati sono raccolti nell’11esimo rapporto “La Bioeconomia in Europa” redatto dal Research Department di Intesa Sanpaolo in collaborazione con Cluster SPRING, componente della cabina di regia nazionale sulla bioeconomia, e SRM, il Centro studi e ricerche per il Mezzogiorno. Il focus del rapporto è la fotografia del settore in Italia: circa il 10% del valore della produzione complessiva ed il 7,7% considerando l’occupazione, un risultato dovuto soprattutto al buon andamento della filiera agro-alimentare.

Il nostro Paese può vantare giganti e pionieri, uno su tutti Novamont che ha inventato il Mater‑Bi, primo biopolimero compostabile a base di amido oggi alla quinta generazione, e centinaia di aziende e startup attive soprattutto nel settore della ricerca e sviluppo (45%) e in quello agro-alimentare (25%). Nel 2023 erano circa 800, il 6,6% del totale.

Il packaging corre verso il bio

In agricoltura le pratiche green sono ormai la norma: molte aziende utilizzano letame, sottoprodotti agroalimentari e residui organici per produrre biogas e bioenergia per esempio. Gli scarti agroalimentari sono sempre più usati per produrre bioplastiche (in Campania con le bucce di pomodoro) o carta e imballaggi sostenibili (in Sicilia con gli scarti delle arance).  «La Bioeconomia si conferma un settore rilevante per l’economia italiana, rappresentando un’occasione per la crescita e lo sviluppo sostenibile anche delle aree interne, territori marginali a rischio di spopolamento» dichiara Stefania Trenti, Responsabile Industry and Local Economies Research di Intesa Sanpaolo. «Ma può rappresentare un’occasione per innovare anche in settori altamente competitivi come quello del packaging in plastica». La produzione di imballaggi è infatti protagonista della crescita: quasi la metà delle imprese intervistate dal rapporto utilizza già input di origine naturale spinte da motivi di competitività e dalle richieste del mercato.

Guardando al futuro

«In un contesto globale profondamente trasformato, la Bioeconomia si conferma una leva strategica per coniugare sostenibilità ambientale, competitività industriale e coesione territoriale. È ora necessario che l’Europa riconosca pienamente il contributo dei prodotti bio-based alla transizione ecologica, integrandoli nel quadro legislativo e regolatorio europeo» spiega Catia Bastioli, presidente di Cluster SPRING. «Trasformare la Bioeconomia in una vera e propria strategia industriale europea è fondamentale per garantire prosperità duratura, autonomia strategica e benessere condiviso».

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