Il caso di Andy Byron e Kristin Cabot che ha infiammato le cronache estive non è un caso isolato. Un amore clandestino tra le scrivanie è costato il posto anche al CEO di Nestlè. Ma davvero amare un collega ha come conseguenza il licenziamento? Cosa prevedono le aziende in Italia? E cosa dice la legge?
Carriera rovinata e profilo LinkedIn cancellato. La storia di Andy Byron e Kristin Cabot, i due colleghi-amanti beccati da una Kiss Cam al concerto dei Coldplay a Foxborough, Massachusetts, ha tenuto banco tutta l’estate ed è poi finita nel dimenticatoio. Nessuna fonte ufficiale e nessun notiziario di gossip riporta aggiornamenti sulla vicenda del CEO di Astronomer, astro nascente dell’industria tech americana, e della sua responsabile HR. Le dimissioni sono state la conseguenza immediata e definitiva. Ma qualcosa è rimasto. Le domande. Come funziona in Italia? Una relazione sul lavoro, una volta scoperta, può davvero comportare la perdita del posto e la frana di una carriera?
Gli altri manager caduti per amori non dichiarati
La vicenda Byron-Cabot (lui dimesso 4 giorni dopo il fattaccio e lei subito dopo) non è isolata: tra i casi più recenti ci sono quelli di Laurent Freixe, CEO di Nestlé, licenziato a settembre 2025 per non aver dichiarato una relazione romantica con una subordinata, e Ashley Buchanan, CEO di Kohl’s, licenziato a maggio per aver favorito un vendor di cui era innamorato. In Italia il caso più recente riportato dalle cronache per via del conseguente processo, risale al 2021 quando il dipendente di un’azienda romana di servizi fu licenziato perché non aveva informato i capi di una relazione sentimentale con una collega nello stesso settore.
Amarsi sul lavoro: vietato o solo da gestire?
Amarsi sul lavoro è dunque vietato, pena la perdita del posto? In realtà no. Ad essere vietato non è il sentimento ma il fatto di non dichiararlo. Negli Stati Uniti le relazioni sentimentali tra colleghi o tra superiori devono sottostare alle “non-fraternization policies” o “romantic relationship disclosure policies”. Si tratta di regolamenti che non vietano le relazioni ma obbligano a dichiararle, soprattutto se uno dei due protagonisti è in una posizione di potere sull’altro. In questo modo, l’azienda può decidere se trasferire uno dei due in un altro reparto per evitare favoritismi e monitorare eventuali altri rischi come conflitti di interesse, molestie se la relazione finisce male, violazioni delle policy interne. In Italia la situazione è molto simile. «Nel nostro Paese, l’azienda non può intervenire sulla relazione tra due colleghi vietandola ma in linea di principio sono consentiti regolamenti aziendali che prevedano l’obbligo per alcuni dipendenti di dichiarare all’azienda l’esistenza di simili relazioni» spiega l’avvocato Alessandro Daverio dello Studio legale Daverio & Florio, specializzato nel Diritto del Lavoro. «La finalità è evitare o ridurre conflitti di interessi, favoritismi o anche solo condizionamenti psicologici».
Licenziamento sì, ma solo in presenza di danni o violazioni
In mancanza di una legge ad hoc sono quindi i regolamenti aziendali a dettare le regole. «Le violazioni degli obblighi di cui alle policy devono essere valutate dall’azienda caso per caso, anche e soprattutto laddove si verifichi un pregiudizio o un danno per l’azienda. L’azienda che ha subito il danno dovrà valutare cosa fare e come procedere» continua l’avvocato. «In alcuni casi, in passato, si sono verificati anche licenziamenti per simili violazioni». Naturalmente, le conseguenze sul rapporto di lavoro cambiano in relazione alla qualifica posseduta dal dipendente. Per i dirigenti il vincolo fiduciario con l’azienda e la responsabilità richiesta sono ovviamente maggiori e quindi è loro richiesta una maggiore e più puntuale attenzione anche su questi temi ed anche perché essi hanno il potere di prendere decisioni, anche economicamente, più impattanti per l’azienda».
Quando decide il giudice: il ruolo delle condotte collegate
E se il dipendente dovesse impugnare il licenziamento? «In caso di impugnazione, il giudice dovrà valutare il mancato rispetto del regolamento aziendale ed anche la gravità delle eventuali conseguenze che la relazione non dichiarata può aver comportato nel caso concreto» spiega l’avvocato. «Ad esempio, in un caso simile, il Tribunale di Roma aveva giudicato legittimo il licenziamento di un dipendente che non aveva dichiarato una relazione con una collega, in violazione del codice etico aziendale, fermo restando che in quel caso concorrevano anche altre condotte disciplinarmente rilevanti. Per esempio, l’interessato aveva tentato di far abortire la collega e di indurla alle dimissioni per lavorare alla concorrenza».