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I pendolari della mobilità sanitaria

Nel 2022, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto il valore record di 5,04 miliardi di euro, cifra nettamente superiore a quella del 2021 (4,25 miliardi), con un flusso enorme di pazienti e di risorse economiche in uscita dal Mezzogiorno verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Che cosa dice il report della Fondazione Gimbe.

Scappo al Nord per curarmi. Nel 2022, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto il valore record di 5,04 miliardi di euro, cifra nettamente superiore a quella del 2021, con un flusso enorme di pazienti e di risorse economiche in uscita dal Mezzogiorno verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. È quanto emerge dal report sulla mobilità sanitaria interregionale presentato recentemente dalla Fondazione Gimbe, che evidenzia come le migrazioni per curarsi riflettano le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese.

Il fenomeno non è certo una novità, ma oggi assume particolare rilevanza per il suo impatto sull’equilibrio finanziario di alcune Regioni, sia in saldo positivo (es. Lombardia: +623,6 milioni di euro; Emilia-Romagna: +525,4 milioni; Veneto: +198,2 milioni), sia in saldo negativo (es. Campania: -308,4 milioni di euro; Calabria: -304,8 milioni). In secondo luogo, perché il 55,8% delle prestazioni di ricovero in mobilità e il 48,4% di quelle ambulatoriali viene erogato da strutture private accreditate, un dato che evidenzia il crescente ruolo del settore privato nel soddisfare la domanda di cure. Infine, per l’impatto sanitario, sociale ed economico sui residenti nelle Regioni in cui la carente offerta di servizi sanitari li costringe a cercare risposte altrove.

I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, con una concentrazione significativa verso Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, che insieme generano quasi la metà dei crediti della mobilità e il 94,1% del saldo complessivo. Nel 2022, l’85,8% della mobilità sanitaria ha riguardato prestazioni di ricovero ordinario e day hospital (69,9%) e specialistica ambulatoriale (15,9%). Complessivamente, oltre la metà del valore di tali prestazioni viene erogata da strutture private accreditate che attraggono molto più del pubblico (+26,2%) per i ricoveri, e poco meno (-6,1%) per le prestazioni di specialistica ambulatoriale. La capacità attrattiva del privato accreditato delle prestazioni in mobilità risulta molto eterogenea tra le Regioni.

Secondo i dati Agenas, il 78,5% della mobilità per ricoveri è classificato come effettiva, ovvero dipende dalla scelta del paziente. Mentre nel 4,5% riguarda casi in cui il domicilio del paziente non coincide con la Regione di residenza (mobilità apparente) e il 17,4% è legato a prestazioni in urgenza (mobilità casuale). Della mobilità effettiva, solo il 6,5% riguarda ricoveri ordinari a rischio inappropriatezza. Per quanto riguarda la specialistica ambulatoriale erogata in mobilità, oltre il 93% è riconducibile a tre categorie: prestazioni terapeutiche (33,9%), diagnostica strumentale (31,6%) e prestazioni di laboratorio (27,9%).

La mobilità sanitaria rappresenta solo la punta dell’iceberg delle diseguaglianze regionali: infatti, considerato che riguarda per oltre due terzi i ricoveri ospedalieri, non rende conto della qualità dell’assistenza territoriale e socio-sanitaria, ambiti in cui il divario Nord-Sud è ancora più marcato. Secondo il report della Fondazione Gimbe, la valutazione dell’impatto economico complessivo della mobilità sanitaria non consente di quantificare tre elementi fondamentali. Innanzitutto, il numero di pazienti e familiari/caregiver coinvolti: uno studio realizzato dal Censis per Casamica sui dati del 2015 stima che il fenomeno riguardi 1.400.000 di persone, di cui 750.000 pazienti e 650.000 accompagnatori. In secondo luogo, i costi sostenuti per gli spostamenti: una survey condotta su circa 4.000 cittadini italiani evidenzia che nel 43% dei casi chi si sposta dalla propria Regione affronta spese comprese tra 200 e 1.000 euro e nel 21% dei casi il costo varia fra 1.000 e 5.000 euro. Un’altra survey, condotta su circa 1.300 pazienti oncologici, ha documentato che il 45,1% sostiene spese per mezzi di trasporto (in media 359 euro/anno) e il 26,7% per l’alloggio lontano dalla propria residenza (in media 227 euro/anno). Da Ci sono poi i costi indiretti, quali assenze dal lavoro di familiari, permessi retribuiti, oltre ai costi intangibili legati alla mancata esigibilità di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione.

 

 

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