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Perché l’educazione finanziaria serve a tutti, non solo a scuola

Anche se è obbligatoria dal 2024, l’educazione finanziaria è ancora assente in metà delle scuole italiane. Con pochi insegnanti formati e un’Italia in coda ai Paesi OCSE, il gap educativo si riflette pesantemente su famiglie ed economia.

A partire dal ciclo scolastico 2024-2025 l’educazione finanziaria è entrata per legge nelle scuole, ma a distanza di un anno solo metà degli istituti superiori ha avviato percorsi specifici e chi lo ha fatto segue un andamento disomogeneo: c’è chi l’ha integrata all’educazione civica, chi ad altre materie come il diritto, chi dedica ore e chi appena qualche cenno, e solo un insegnante su 10 ha ricevuto una formazione adeguata per insegnare agli studenti concetti come inflazione, risparmio, investimenti. Questo gap è la spia di un problema che si allarga dalla scuola alla società intera, perché se solo il 35% dei nostri ragazzi conosce nozioni base come “tassi di interesse” o “diversificazione del rischio”, ed è addirittura inferiore al 30%, secondo un’indagine della Banca d’Italia, la quota degli adulti che possiede conoscenze finanziarie di base.

I numeri che fanno riflettere

A leggere i dati la situazione è drammatica: solo il 16,6% degli italiani raggiunge il punteggio minimo di 70 punti su 100 considerato accettabile dall’OCSE per una gestione finanziaria consapevole. In pratica, peggio dell’Italia, sempre secondo le rilevazioni OCSE, fanno solo Panama (16,5%), Cipro (16,1%), Paraguay (11,2%), Cambogia (12,5%) e Yemen (3%). Al contrario, il 75,5% dei cittadini tedeschi raggiunge la sufficienza e meglio dell’Italia fanno gli altri vicini europei come Francia (38,7%), Spagna (39,2%) ed Estonia (48,4%). Ma la mancanza di un’educazione finanziaria non è solo una questione di numeri: il nostro rapporto con il denaro passa dalle corrette informazioni e si ripercuote sull’economia. Per esempio, solo il 17% degli italiani conosce il meccanismo degli interessi, vuol dire che il resto è potenzialmente esposto al sovraindebitamento. E anche il divario salariale tra uomini e donne è stato rilevato più largo nelle società con scarse competenze finanziarie.

Le iniziative che provano a cambiare le cose

L’educazione finanziaria nelle scuole è il punto da cui partire e, anche se a singhiozzo e a macchia di leopardo, qualcosa si muove. Novembre sarà il mese dedicato a questo tema in tutta Italia: lo ha istituito il comitato ministeriale Edufin, con iniziative ed eventi gratuiti per accrescere le conoscenze di base sui temi assicurativi, previdenziali e di gestione e programmazione delle risorse finanziarie personali e familiari. FEduF, per esempio, la Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio, creata da ABI in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, supporta gli insegnanti con programmi didattici gratuiti e ha attivato una rete di divulgatori giovanissimi, i FEduF Peer, che dialogano alla pari con gli studenti rendendo l’argomento più comprensibile e alla portata dei giovani. «La relazione con il denaro dei ragazzi sembra essere influenzata dal pessimismo, amplificato anche dalla sensazione di precarietà che accompagna questi tempi di grande incertezza» spiega Giovanna Boggio Robutti, direttrice generale di FEduF. «In molti ragazzi emerge una sorta di ossessione per il denaro che genera ansia emotiva, spesso derivata dai modelli sociali degli influencer. Per esempio, una ricerca recente ha portato l’attenzione sul fenomeno del “doom spending”, una propensione a gratificarsi con oggetti di lusso oggi nella convinzione di non potersi permettere agi in un domani. Ecco perché è fondamentale il ruolo dell’educazione, per collocare razionalmente e nella giusta prospettiva il denaro, questo strumento indispensabile di benessere».

Famiglia e università: gli anelli mancanti

Se la scuola sta cominciando a fare la sua parte, la famiglia, sempre così restia a parlare apertamente di soldi, ha un ruolo importante. «Spesso non permette ai bambini di “socializzare” con il denaro già da piccoli per introdurlo in modo equilibrato e responsabile nella propria esperienza di vita» continua l’esperta. Accade perché anche gli adulti hanno bisogno di essere ri-educati finanziariamente. «L’introduzione dell’educazione finanziaria nell’ambito scolastico è un primo passo ma non basta, occorre ampliare questi sforzi fino alle università» sostiene Daniel Martinez, Co-Country Manager di Bravo, azienda di gestione del debito che ha inaugurato percorsi di educazione finanziaria dedicati ai clienti in situazioni difficili. «I laureati italiani si posizionano al 33° posto su 39 Paesi, con prestazioni inferiori anche a Paesi con economie meno sviluppate come Thailandia, Ungheria e Uruguay, che formano laureati finanziariamente più competenti di quelli italiani». Segno che neppure l’istruzione superiore protegge da un analfabetismo, quello finanziario, che rischia di costare caro alle famiglie e al Paese.

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