Il salto di specie

Dall’Aids a Ebola, dall’influenza aviaria al Covid. Dall’era del paleolitico virus e batteri vengono trasmessi dagli animali all’uomo e il fenomeno dello spill over prosegue nei giorni nostri accelerato dagli stress ambientali. In una ricorsa continua tra lo sviluppo di vaccini e le mutazioni virali degli agenti patogeni. L’allarme della comunità scientifica e le raccomandazioni delle agenzie dell’Onu.

La salute è considerata una priorità nelle analisi macro-economiche di tutti i paesi, in cui l’economia e la forza lavoro sono direttamente proporzionata allo stato di benessere dei cittadini. In questo contesto, anche in Europa è ormai accettato l’approccio One Health-Una Sola Salute, formalizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2014, in cui la salute umana è messa in diretto rapporto con la salute animale e con quella ambientale. Basti pensare che nella riorganizzazione del Ministero della Sanità dell’Italia entrato in vigore il 3 gennaio 2024 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/12/19/23G00203/SG) è stato creato il “Dipartimento della Salute umana, della Salute animale e dell’ecosistema (One Health), e dei Rapporti Internazionali”. E non è un caso che One Health e i Rapporti Internazionali siano inseriti nello stesso dipartimento in quanto facenti parte dal punto di vista della salute di una entità geografica extra-nazionale, continentale e planetaria. Come appunto accaduto nell’ultima epidemia da virus SARS-CoV2, Covid 19, dove il virus non patogeno per una specie (animale serbatoio non ancora identificato), ha fatto il salto di specie all’uomo nel mercato di Whuam in Cina. Al momento del salto di specie, il virus SARS-CoV2 aveva già due genotipi diversi (ceppo A e ceppo B) nei pazienti cinesi indicando che era da tempo presente nell’animale serbatoio, e facendo cadere l’ipotesi della fuga da un laboratorio. I due ceppi A e B hanno fatto ulteriori mutazioni nell’uomo per poi passare in Europa e quindi in tutti gli altri continenti scatenando una vera pandemia.

Vecchie e nuove pandemie

Non è la prima volta che un virus proveniente da una specie animale passi all’uomo, un fenomeno definito “spillover o salto di specie”, che di solito riguarda microrganismi (principalmente virus ma non solo) non patogeni per un animale che poi passano ad un altro animale più suscettibile, e quindi all’uomo. La tubercolosi bovina e il virus del morbillo sono stati i primi esempi d’infezione che ha accompagnato l’evoluzione umana.  Il sequenziamento di interi genomi di Mycobacterium tuberculosis complex (MTBC) e del virus del Morbillo, ci hanno permesso di caratterizzare la diversità genomica globale e ricostruire la storia evolutiva del patogeno della tubercolosi e del morbillo. I risultati sono stati eccezionali: il MTBC è stato localizzato nel continente africano circa 70 mila anni fa, in pieno paleolitico medio. Quindi in Africa, da animali selvaggi, quali cervi, bovini, leoni, ci sarebbe stato un salto di specie nell’uomo, prima ancora che Homo sapiens iniziasse la sua migrazione in Europa e in Asia. Il virus del morbillo, originatosi negli animali con quello della peste, ha compiuto il salto di specie nell’uomo circa 7.000 anni fa, quando cominciarono a formarsi le prime città in Europa e Asia. Al momento attuale stiamo assistendo ad un ulteriore salto di specie dalle anatre selvagge ai bovini del virus influenzale H5N1, con un forte rischio di passaggio all’uomo. Infatti, recentemente l’Organizzazione mondiale della Sanità ha espresso timori per la diffusione dell’influenza aviaria in tutto il mondo (ceppo H5N1). L’epidemia è iniziata nel 2020 e ha portato alla morte o all’uccisione di decine di milioni di capi di pollame, oltre a spazzare via milioni di uccelli selvatici. Il virus si è di recente diffuso in 26 specie di mammiferi, compresi i bovini domestici che sono stati infettati in 12 Stati degli Usa, e ha aumentato ulteriormente i timori sui rischi per gli esseri umani. Più specie di mammiferi il virus infetta dopo un suo salto di specie, più possibilità ha di evolversi in un ceppo pericoloso per l’uomo. La prospettiva di una pandemia influenzale è allarmante, anche se gli scienziati sottolineano che sono già stati sviluppati vaccini contro molti ceppi, compreso l’H5N1. Se si verificasse una pandemia di influenza aviaria, sarebbe comunque una sfida logistica enorme produrre vaccini alla scala e alla velocità necessarie. Questi processi evolutivi saranno accelerati in condizioni di stress ambientale, cosi come illustrato nella figura a lato.

Negli ultimi 100 anni le pandemie di AIDS, Ebola, Marburg, Nipah, Sars, H5NI, H1N1, Mers e Zika sono state tutte malattie appartenenti alla categoria delle zoonosi, infezioni dovute ad agenti patogeni che nel corso dei millenni si sono adattati ad una specie animali senza quindi causare malattie e rappresentando il serbatoio naturale: il pipistrello per il virus Ebola, lo scimpanzé per HIV, i volatili per H5N1. Nel caso del virus Ebola. il virus originario passa dal pipistrello (animale serbatoio) che rilascia la saliva infetta nei frutti della foresta africana, e quindi a disposizione dello scimpanzé (ospite intermedio) che sceglie una frutta parzialmente mangiata dal pipistrello e quindi s’infetta. Se il virus replica pochissimo nel pipistrello, il medesimo virus replica un milione di volte nello scimpanzé il cui sistema immunitario non è in grado di neutralizzare il virus. Lo scimpanzé nel giro di 1-2 giorni muore e cade a terra. Gli uomini della foresta che trovano uno scimpanzé morto lo considerano carne facilmente commestibile e il virus passa dallo scimpanzé all’uomo. Anche l’uomo, come lo scimpanzé, è estremamente suscettibile alla replicazione virale e con un sistema immunitario non in grado di neutralizzarlo e quindi passa facilmente il virus ad altri essere umani, attivando l’epidemia.

Una situazione diversa è accaduta nei primi anni del 1900 per il virus dell’Immunodeficienza umana (HIV) dove un virus molto simile nelle scimmie (Simian Immunodeficiency virus, SIV) si era adattato alle scimmie africane non replicando rapidamente e quindi non patogenico per le scimmie. Per un processo di mutazione virale, ad un certo punto il virus ha modificato la sequenza che codifica per la glicoproteina gp120 di scimmia, facendo produrre gp120 in grado di legarsi al recettore CD4 dei linfociti T umani e quindi permettendo la loro infezione. In questo caso il paziente 0 potrebbe essere stato un cacciatore ferito da uno scimpanzé il cui SIV era mutato e quindi in grado di passare l’infezione tramite il sangue. Dai primi decenni del 1900 il virus dalla grande foresta equatoriale africana si è diffuso in tutto il continente per i processi di deforestazione, di colonizzazione e quindi di bisogno di manodopera e di costruzione delle strade e delle città, arrivando nelle coste occidentali dell’Africa già negli anni intorno al 1930, venendo identificato solo 50 anni dopo grazie allo sviluppo della scienza.

Focus sull’ambiente

Tutti questi salti di specie da animali selvaggi all’uomo impongono un’attenzione maggiore sulla salute dell’ambiente. Ovviamente non solo in Europa ma in tutto il mondo. Secondo la Direzione Generale delle Foreste del Ministero delle Politiche Agricole alimentari e Forestali (MASAF) e alla luce del documento FAO più recente (The State of the World’s Forests 2022 – FAO https://www.fao.org/3/cb9360en/cb9360en.pdf)  le foreste e gli alberi coprono il 31% della superficie terrestre (4,06 miliardi di ettari). In una dimensione temporale si evidenzia drammaticamente che l’area si sta riducendo, con 420 milioni di ettari di foreste persi a causa della deforestazione tra il 1990 e il 2020. Il tasso di deforestazione è in calo, ma si è registrata ancora una diminuzione di 10 milioni di ettari all’anno nel periodo intercorrente tra il 2015 ed il 2020.  Le foreste nel loro complesso forniscono l’habitat all’80% delle specie di anfibi, al 75% delle specie di uccelli e al 68% delle specie di mammiferi conosciute al mondo. Le foreste tropicali in particolare contengono circa il 60% di tutte le specie di piante vascolari. Per riflette su questi aspetti il MASAF sta organizzando insieme alle accademie scientifiche italiane una Conferenza nel prossimo ottobre collaterale al G7 a regia italiana. Già dopo il G20, nel 2022, le massime autorità scientifiche italiane hanno organizzato un workshop di livello internazionale conclusosi con una dichiarazione di ampia portata sugli effetti nocivi della deforestazione.  Obiettivo del prossimo evento è di rafforzare, su iniziativa italiana, l’attenzione dei Paesi membri del G7, della Comunità internazionale e del settore economico privato sull’urgenza di assumere iniziative per la conservazione e la salvaguardia di alberi, boschi e foreste, e la necessità di promuovere la selvicoltura sostenibile e responsabile ovunque nel pianeta, unitamente alla necessità che si realizzi adeguata cooperazione internazionale del mondo scientifico con i settori pubblico e privato.

Ci sono diversi approcci metodologici, utilizzati a livello internazionale e raccomandati dalle varie agenzie delle Nazioni Unite, che devono essere utilizzati per una professione che voglia muoversi nel solco dell’One Health. Tra questi, i principali sono i seguenti:

  • Need Analisys-based approach (NAA), in quanto le attività identificate devono essere programmate per dare soluzione ai bisogni analizzati, e con indicatori precisi;
  • Community-based approach (CBA), in quanto i beneficiari della vostra azione professionale vengono coinvolti attivamente e diventano partner chiave nello sviluppo e realizzazione dell’attività;
  • Social change behavior (SCB), ovvero il cambiamento dei comportamenti sociali, affinché si adottino buone pratiche di rapporti con la protezione della biodiversità e il controllo della Salute Pubblica. Questo è un aspetto molto importante perché spesso si verifica una perdita della “memoria” per quanto riguarda riguarda gli aspetti positivi della biodiversità.
  • Citizen Science based approach (SC-BA) quel complesso di attività collegate ad una ricerca scientifica (incluso sviluppo di nuovi prototipi) a cui partecipano semplici cittadini con le loro raccolte di dati.
  • Ma più importante di tutto, l’implementazione e il monitoraggio dell’attività professionale devono seguire la metodologia del Result Based Management. Tale metodologia permetterà di individuare il contributo di tutti gli attori coinvolti verso il raggiungimento degli obiettivi e di intervenire tempestivamente in caso di cambiamenti delle condizioni esterne o di altre problematiche.
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Vittorio Colizzi
Vittorio Colizzi
Laureato in Medicina e Chirurgia e specialista in Malattie Infettive e in Igiene e Sanità Pubblica, ha conseguito il PhD in Immunologia alla Brunnel University di Londra. VC è Professore ordinario di Immunologia in quiescienza, e Direttore Emerito della Cattedra Unesco in Biotecnologia e Bioetica all’Università di Roma Tor Vergata. È attualmente preside della Facoltà di Scienze e Tecnologia dell’Università Evangelica del Camerun, coordinatore del Programma di supporto all’Università Nazionale Somala e del Programma Sanitario Italia-Ciad., e segretario esecutivo del Centro Relazioni con l’Africa della Società Geografica Italiana. È autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche, e In questi ultimi anni si è occupato in maniera specifica dei meccanismi epigenetici della nutrizione, e dell’approccio One Health in Africa.

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