Il lato oscuro dei pannelli solari

La produzione di energia elettrica con pannelli solari è passata dall’8% del fabbisogno energetico nazionale del 2020 al 13% del 2023. E l’obiettivo è quello di arrivare a produrre 70 gigawatt entro il 2030. Ma resta il problema dello smaltimento e della gestione del fine vita. Questione non da poco visto che, secondo le previsioni, nel 2050 avremo fino 78 milioni di tonnellate di pannelli fotovoltaici arrivati alla fine della loro vita utile.

Large Production Line with Industrial Robot Arms at Modern Bright Factory. Solar Panels are being Assembled on Conveyor. Automated Manufacturing Facility

La produzione di energia elettrica con i pannelli solari non è mai andata bene come in questi ultimi anni. A dirlo sono i numeri: se nel 2020 in Italia se ne produceva tra il 7 e l’8% del fabbisogno energetico complessivo nazionale, nel 2023 si è passati al 13%, non distanti dal 17% della Germania e dei Paesi Bassi a dal 16% della Spagna. L’obiettivo italiano è quello di arrivare a produrre 70 gigawatt di energia da fonti rinnovabili, tra eolico e solare entro il 2030, con la finalità di ridurre del 55% l’emissione di gas serra. Per quanto riguarda il solare, «lo scorso anno, in Italia sono stati allacciati oltre 370.000 nuovi impianti per una capacità che supera i 5GW. Una crescita trainata da piccole installazioni, in parte finanziate con detrazioni fiscali», riferisce Carlo Inverardi-Ferri dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (CNR).
Sebbene l’efficienza di conversione energetica da luce solare a corrente negli ultimi 10 anni sia migliorata dello 0,5% e i costi di produzione siano diminuiti drasticamente, grazie a diverse ondate di innovazioni produttive guidate principalmente dai produttori di pannelli cinesi che dominano il settore, le celle di prima generazione (meno efficienti, circa il 33% contro il 40-50% di una turbina), sono ancora le più diffuse. E nonostante il ciclo di vita di un pannello solare sia stimato attorno a 25 anni, inizia a porsi il problema dello smaltimento. Nel 2050, infatti, si prevede di avere fino a 78 milioni di tonnellate di pannelli fotovoltaici arrivati alla fine della loro vita utile. Rifiuti quindi, ma con la particolarità che essendo stati pensati per dover resistere alle intemperie sono difficili da riciclare.

La gestione del fine vita resta un problema

«Attualmente non esiste una filiera dedicata al trattamento perché il flusso di rifiuti non è ancora sufficiente a giustificarla», ha spiegato Marco Tammaro, ingegnere di ENEA responsabile del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, in una intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica.  «A fine vita senza una gestione adeguata dei pannelli, metalli come il cadmio, piombo o cromo presenti nei moduli potrebbero essere dispersi nell’ambiente», evidenziando come non si tratti solo di trovare un corretto modo per smaltire i rifiuti fotovoltaici, ma anche di gestire il loro fine vita e riciclarli. Questione non da poco visto che i materiali utilizzarli per realizzarli sono di grande valore (argento, tellurio, gallio, indio, silicio), e il loro riciclo o riuso corretto può portare vantaggi rilevanti. L’utilizzo di metodi avanzati di riciclaggio nel settore della gestione dei rifiuti consentirebbe di completare in modo vantaggioso il ciclo di vita di tali dispositivi, consentendo ai materiali e ai componenti recuperati di essere riutilizzati in un nuovo processo produttivo, portando a risparmi sia in termini energetici sia economici e riducendo gli impatti sull’ambiente e sulla salute umana.

 

Produttori in campo

«Il problema dello smaltimento dei pannelli fotovoltaici è assimilabile a quello di altri rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, i RAEE», continua Inverardi-Ferri. E quindi «i produttori sono chiamati ad assumersi la responsabilità di assicurare un corretto smaltimento e riciclo di questa categoria di rifiuti». Questo viene spesso fatto tramite organizzazioni che li rappresentano, consorzi che tramite un servizio collettivo raccolgono e prendono in carico i processi di smaltimento e riciclo dei pannelli per conto dei produttori. L’esperienza di altri tipi di RAEE suggerisce, tuttavia, che questo meccanismo non è sempre efficace. E quindi come uscirne? «Far rispettare la normativa e imparare, dove possibile, dalle economie informali, in particolare per quanto riguarda le dinamiche di recupero e riuso di prodotti ancora funzionanti ed utili», suggerisce Inverardi-Ferri.

Consumo di suolo e non solo

Purtroppo il riciclo non è il solo problema legato ai pannelli solari. Fin dalle origini del ciclo produttivo infatti i pannelli solari hanno evidenziato aspetti problematici. «Rapporti, inchieste giornalistiche e articoli scientifici hanno portato alla luce la precarietà e spesso l’illegalità che contraddistingue i regimi lavorativi in Cina, a volte caratterizzati da dinamiche di lavoro forzato. Ora, nel settore del fotovoltaico questo fenomeno è molto diffuso. Segue poi una seconda criticità nella filiera globale per quanto riguarda l’approvvigionamento di materie prime. Minerali, come il cobalto, che vengono utilizzati nelle batterie di accumulo, provengono da paesi attraversati da forti tensioni interne, come la Repubblica Democratica del Congo che ospita circa il 50% dei giacimenti conosciuti ad oggi», dice ancora Inverardi-Ferri.
Da ultimo, si pone la questione degli spazi. Secondo i dati ISPRA, nel solo 2021 sono stati consumati 179 ettari di suolo per l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra e secondo il Gestore dei Servizi Elettrici manca ancora  «una superficie incrementale di 210 chilometri quadrati (di pannelli fotovoltaici, ndr) a terra e 140 chilometri quadrati su edificio» nei prossimi 8 anni. Un’opzione potrebbe essere quella di installarli in aree dismesse o sui tetti, ma il rendimento di grandi impianti a terra su terreni impermeabilizzati resta comunque maggiore. L’individuazione dei terreni spetta alle regioni, ma ad oggi ne mancano all’appello ancora 8 (Liguria, Lombardia, Trentino-AA, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Calabria, Campania e Sicilia). Un quadro in cui è comunque assente una normativa unica che sappia dare ordine e di ispirare le decisioni di tutti gli attori coinvolti nei processi di valutazione. La scelta dei terreni da dedicare ai grandi impianti sarebbe infatti da prendere di concerto con il comparto agro-industriale, che certo non se la passa benissimo e anzi perde terreno (letteralmente) quanto a dimensioni se paragonata ai competitor europei ed è in generale portata avanti da imprenditori nella loro silver age, che se messi davanti alla scelta tra «vendere o affittare i propri terreni per installare un impianto fotovoltaico lo fanno per cogliere un’opportunità di breve termine e compensare la diminuzione dei guadagni», osserva Davide Ciccarese del Dipartimento di Scienze della terra, atmosferiche e planetarie del Mit di Boston.

È complicato giungere a una conclusione definitiva, anche perché i pannelli solari, sfruttando l’energia del sole, una risorsa rinnovabile e inesauribile, generano elettricità senza provocare emissioni dannose o contribuire al cambiamento climatico. Pertanto, rappresentano un metodo per produrre energia pulita e sostenibile, che può ridurre in modo significativo o addirittura eliminare la dipendenza dall’energia elettrica da fonte fossile. Inoltre, una volta installati, richiedono generalmente una manutenzione minima.  «Il fotovoltaico è una tecnologia chiave nella transizione energetica, non ultimo perché fornisce un’alternativa per diversificare e decentralizzare la produzione. È questa una tematica particolarmente centrale nel mutato contesto geopolitico contemporaneo», conclude Inverardi-Ferri.

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