Il patto con il fisco, una scommessa sui redditi

Il concordato preventivo biennale segna uno dei passaggi più rilevanti del processo di attuazione della legge delega per la riforma fiscale. La vera novita? Il contribuente potrà conseguire redditi più elevati di quelli prestabiliti senza versare maggiori imposte, ma se il reddito effettivo è inferiore a quello preconcordato c’è il rischio di versarne di più. E per i professionisti occhio alle scadenze e ai flussi di cassa.

Il via libera del Consiglio dei Ministri al decreto legislativo in materia di accertamento tributario e di concordato preventivo biennale segna uno dei passaggi più rilevanti del processo di attuazione della legge delega per la riforma fiscale. Per i prossimi anni, infatti, il concordato preventivo dovrebbe rappresentare uno dei principali strumenti di compliance nell’ambito dei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti imprenditori e professionisti. Secondo il Governo, peraltro, il concordato dovrebbe consentire anche un recupero dell’evasione fiscale. Non sono mancate critiche, al contrario, da parte dell’opposizione, che vede nell’istituto concordatario una legittimazione delle pratiche evasive dei contribuenti disonesti. Si tratta, evidentemente, di due posizioni antitetiche, ma entrambe focalizzate più sull’aspetto “simbolico” ed evocativo dell’accordo tra fisco e contribuente che sulle effettive modalità di funzionamento dell’istituto.

Così come strutturato, infatti, il concordato si configura come una sorta di evoluzione del modello di compliance fino a oggi fondato sugli indicatori di affidabilità fiscale (ISA), a loro volta nati dagli studi di settore. Tant’è che il computo del reddito concordato viene affidato proprio ai dati contenuti nel modello ISA o, comunque, ad analoghe informazioni che dovranno essere preventivamente comunicate dai contribuenti all’Agenzia delle Entrate. E che, conformemente a quanto accade oggi ai contribuenti con bassi punteggi ISA, coloro che non accetteranno la proposta concordataria avranno maggiore probabilità di essere sottoposti ai controlli e agli accertamenti dell’amministrazione fiscale.

Leggendo queste righe si potrebbe pensare che il concordato sia l’ultimo figlio della politica gattopardesca del tutto cambi affinché tutto resti com’è. La realtà, tuttavia, è diversa, poiché va considerato che rispetto al modello preesistente l’istituto concordatario rappresenta una significativa novità. Non foss’altro per il fatto che il contribuente, aderendo al concordato, potrà legittimamente conseguire redditi più elevati di quelli prestabiliti senza dover versare le maggiori imposte al fisco. Assumendosi, corrispondentemente, il rischio di versare più imposte di quelle regolarmente dovute nel caso in cui il reddito effettivo sia inferiore a quello preconcordato.

A ben vedere, quindi, la portata innovativa del concordato preventivo biennale è tutta qui: quanto poi tale impostazione troverà il gradimento dei contribuenti italiani potrà essere verificato soltanto nei prossimi mesi, considerato che per il primo anno di applicazione il termine per aderire al concordato è fissato al 15 ottobre 2024. Vediamo allora come funziona la misura.

Che cos’è il concordato preventivo

Il concordato preventivo biennale è un istituto di compliance riservato ai contribuenti di minori dimensioni (contribuenti soggetti agli ISA e contribuenti in regime forfettario) residenti nel territorio italiano, titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, che rispettano gli specifici requisiti previsti dalla norma[1].

In buona sostanza il concordato preventivo si configura come un accordo tra Amministrazione finanziaria e contribuente, volto a predefinire l’ammontare del reddito derivante dall’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni sulla base di una proposta formulata dall’Agenzia delle Entrate. L’eventuale adesione del contribuente perfeziona il concordato e determina che il computo delle imposte sui redditi e dell’Irap[2] sia effettuato con riferimento ai valori reddituali prestabiliti in luogo di quelli effettivi. L’accordo vincola per due anni[3] i contribuenti, passati i quali l’Agenzia delle Entrate formula una nuova proposta concordataria.

È opportuno specificare che nell’iter di formazione della proposta dell’Agenzia delle Entrate non viene previsto alcun contraddittorio con il contribuente. Quest’ultimo sarà tuttavia chiamato a comunicare preventivamente alcuni dati e informazioni, considerato che la norma dispone che la proposta venga elaborata dall’Agenzia “in coerenza con i dati dichiarati dal contribuente” e anche con riferimento alle “redditività individuali e settoriali desumibili dagli indici sintetici di affidabilità fiscale (…) e delle risultanze della loro applicazione”. Di più, considerando l’impostazione degli articoli 8 e 9 del decreto, verranno presumibilmente richiesti ai contribuenti dati ulteriori rispetto a quelli contenuti nei modelli ISA. Informazioni che dovranno essere preventivamente trasmesse anche dai soggetti in regime forfettario, fino a oggi esclusi dall’applicazione degli indicatori di affidabilità fiscale e da qualsiasi tipo di adempimento dichiarativo, eccettuata la compilazione del quadro LM della dichiarazione annuale (e le eventuali sommarie informazioni da inserire nel quadro RS).

In buona sostanza, quindi, l’introduzione dell’istituto concordatario passa, verosimilmente, dall’ennesimo incremento degli adempimenti posti a carico dei titolari di partita Iva che producono redditi di lavoro autonomo e di impresa, in linea con le politiche che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.

Senza considerare l’impatto sull’organizzazione del lavoro dei professionisti che assistono i contribuenti nella predisposizione delle dichiarazioni e, più in generale, nei rapporti con gli Uffici tributari. Se, infatti, per il 2024 sono previste tempistiche in linea con la scadenza della trasmissione dei modelli dichiarativi, dal 2025 i tempi per il perfezionamento del concordato saranno ben più stringenti, con l’adesione del contribuente che dovrà avvenire entro il 30 giugno (ovvero entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta per i soggetti Ires). Ciò comporta che l’invio dei dati necessari alla formulazione della proposta dell’Agenzia delle Entrate dovrà essere compiuto con largo anticipo rispetto all’attuale scadenza di invio del modello ISA, per la cui formazione – si ricorda – è indispensabile avere preventivamente definito il reddito imponibile in dichiarazione. Saranno chiamati ad adeguarsi i professionisti che assistono contribuenti soggetti a ISA e forfettari: soprattutto, verosimilmente, la gran parte degli studi di micro e piccole dimensioni.

Concordato si, concordato no

La prima considerazione sul nuovo concordato biennale è assai ovvia: più contribuenti aderiranno, più sarà elevata la probabilità di essere controllati per gli altri. E viceversa.

La seconda riguarda i professionisti, vincolati alla determinazione del reddito secondo il principio di cassa: il variare delle tempistiche di incasso dai propri clienti, soggette all’alea di una pluralità di circostanze, aumenta il rischio di concordato, poiché un blocco o un ritardo nei corrispondenti pagamenti potrebbe determinare, a parità di attività svolta, un carico d’imposta concordato maggiore di quello effettivo.

Si arriva così alla questione più rilevante: il concordato preventivo biennale si configura come una sorta di “scommessa” sull’ammontare del reddito futuro, soggetta ai rischi e alle incertezze che caratterizzano l’esercizio di attività indipendenti. Per tali ragioni, prima di aderire o meno alla proposta dell’Agenzia il contribuente dovrà preventivamente soppesare tutti gli elementi di rischio insiti allo svolgimento della propria attività oltre che, ovviamente, valutarne la portata con l’assistenza del professionista di fiducia.

 

[1] Ovvero: assenza di debiti tributari maggiori di 5mila euro e di debiti per contributi previdenziali; regolare presentazione delle dichiarazioni dei redditi relative dei tre periodi d’imposta precedenti; assenza di condanne relative a reati tributari o al riciclaggio nei cinque anni precedenti a quelli dell’applicazione del concordato.

[2] Ma non dell’IVA, imposta che rimane estranea al concordato.

[3] Per il solo 2024, per i contribuenti forfettari il concordato è limitato, in via sperimentale, a una sola annualità.

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Andrea Dili
Andrea Dili
Laureato in Economia e Commercio, è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e al Registro dei Revisori Legali.

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