La dieta mediterranea non abita più qui

Globalizzazione, cambiamento dello stile di vita, inflazione. Queste le cause che spingono sempre più italiani ad allontanarsi da una alimentazione sana. Con conseguenze gravi sulla salute, come dimostrano l’aumento delle malattie cardiocircolatorie e i casi di diabete. Un problema fin troppo conosciuto negli States, da sempre patria dello junk food, dove invece il consumo di cibi semplici sta aumentando. Lo dice la crescita delle importazioni di prodotti tipici italiani

di Nadia Anzani 

 

Presente nella lista dei patrimoni culturali e immateriali dell’umanità dal 2010, poco meno di 50 anni dopo che Ancel Benjamin Keys, biologo statunitense scomparso nel 2004 all’età di 100 anni, la ideò sulla base dei modelli alimentari di alcuni Paesi del bacino mediterraneo tra i quali l’Italia, la dieta mediterranea si basa sul consumo di alimenti semplici quali pane, pasta, frutta, verdura, moltissimi legumi, olio extra-vergine di oliva, pesce, latticini e pochissima carne, semi, uova e vino rosso. Un mix che, come confermano oltre 10mila ricerche condotte da autorevoli istituti internazionali negli anni, porta ad avere benefici effetti sulla salute umana, allontanando le principali malattie croniche di origine cardiocircolatoria, vascolare e infiammatoria, ma anche cancro, asma e allergie varie. Eppure, se in altre parti del mondo la dieta mediterranea viene seguita da un numero crescente di persone, in Italia sta succedendo esattamente il contrario.

Quelli del Summer Fancy Food 2024 (23-25 giugno) sono stati giorni frenetici a New York caratterizzati da un via vai di grandi chef stellati, produttori di prelibatezze, rappresentanti del settore alimentare e vinicolo. Un piccolo esercito culinario che ha dato vita alla fiera dedicata alle specialità alimentari, ritenuta da molti addetti ai lavori l’Olimpo dei saloni del food a livello mondiale. L’occasione ideale per celebrare il successo della dieta mediterranea nella patria del junk food. Nell’ultimo decennio, infatti, l’esportazione di alcuni cibi italiani verso gli States ha registrato una crescita esponenziale. Si parla di un +67% dell’olio di oliva, +193% per la pasta, passando per il +133% della “pummarola” e al +86% del parmigiano reggiano dop e grana padano dop. E anche il vino, stando ai numeri snocciolati dalla recente analisi Coldiretti su dati Istat, è sempre più protagonista sulla tavola degli americani, con un incremento del 63% in valore.

A dirlo è un recente studio dell’International Journal of Food Sciences and Nutrition realizzato su un campione di 10.916 adulti italiani nel periodo 2019-2022, in base al quale lungo lo stivale sta aumentando il consumo di carne rossa fresca, formaggi grassi e pollame, accompagnato da una riduzione nell’assunzione di verdure, pane, legumi, pesce, latte e latticini. Cambiamenti dovuti a diversi fattori a cominciare dalla globalizzazione, che ha portato sulle nostre tavole una vasta gamma di cibi provenienti da differenti culture entrati a far parte delle nostre abitudini alimentari. Il fenomeno ha favorito soprattutto un incremento del consumo di alimenti ricchi di grassi saturi, zuccheri semplici e sale, a discapito di quelli freschi e più nutrienti. Ma anche il cambiamento dello stile di vita registrato dalla nostra società sempre più frenetica con ritmi di lavoro sempre più stringenti ha contribuito a sottrarre tempo alla preparazione dei pasti, spingendo a una maggiore dipendenza da cibi già pronti e ultra processati, facilitando così l’orientamento verso scelte alimentari meno sane.

IL PESO DELL’INFLAZIONE

Certo anche l’aumento dell’inflazione ha avuto le sue responsabilità sulla qualità del cibo che mettiamo nelle nostre dispense. In base all’ultimo rapporto Censis-Coldiretti, infatti, i rincari sugli scaffali avrebbero portato il 37% degli italiani a ridurre la qualità del cibo acquistato, percentuale che sale a 46% per i redditi più bassi e scende al 22% per quelli più alti, con gli adulti e i giovani che tagliano molto più degli anziani. Basti dire che, stando a una elaborazione del Codacons basata sui numeri Istat, lo scorso gennaio il prezzo dell’olio extravergine di oliva, elemento basilare per una sana dieta mediterranea, ha registrato un incremento superiore al 44% rispetto allo stesso periodo del 2023.

In rialzo anche i prezzi di frutta fresca e ortaggi che hanno messo a segno rispettivamente incrementi medi del 13 e 18%, solo per fare alcuni esempi. Dunque la dieta mediterranea è diventata, come sostengono in tanti, un privilegio per benestanti che possono permettersi cibi biologici, a chilometro zero, senza additivi e conservanti, non industrializzati? In parte sì, ma anche il cambiamento culturale ha avuto il suo peso. «Se oggi riempiamo il carrello del supermercato di cibo spazzatura è perché abbiamo smarrito il valore che davamo al cibo», ha spiegato ai media Laura Di Renzo, direttrice della Scuola di specializzazione in Scienze dell’alimentazione all’università di Roma Tor Vergata. «Negli anni ‘50, quando è nata la dieta mediterranea, il cibo era sacro, non se ne abusava né se ne sprecava. È il consumismo a farci perdere la direzione del buon mangiare, non tanto la povertà».

INVECCHIARE BENE

Dunque mangia bene chi resiste al consumismo e capisce che il cibo è la vera chiave per stare bene e vivere a lungo in attività. Anche perché reddito basso non necessariamente è sinonimo di cattiva alimentazione. L’offerta alimentare italiana è sempre riuscita ad adeguarsi ai vari portafogli restando di buon livello sia nei mercati rionali sia sugli scaffali dei discount. Osservazioni tutt’altro che trascurabili nell’epoca della longevità. Secondo le ultime stime provvisorie Istat riferite al 2023, infatti, la speranza di vita in Italia è pari a 83,1 anni, con un incremento di circa 6 mesi rispetto al 2022 (era 82,6 anni). Peccato che a una aspettativa di vita in aumento, non corrisponda una speranza di vita in buona salute, visto che quest’ultima risulta essere in calo rispetto al 2020. L’ultima stima (provvisoria) relativa al 2023 si attesta a 59,2 anni, valore più prossimo a quello del 2019 (58,6 anni). «Tenuto conto del complessivo riallineamento della vita media attesa al 2019, la flessione di questo indicatore composito è senz’altro imputabile all’andamento della componente soggettiva, quella cioè relativa alla buona salute percepita che, dopo il picco elevato del 2020, è in costante riavvicinamento al dato del 2019», sottolinea l’Istat.

SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO

Ed è su questi ultimi dati che dobbiamo riflettere perché, come diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, “siamo quello che mangiamo” e, prima di lui, Ippocrate, padre della medicina scientifica, che era solito ricordare: “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. Non a caso recentemente alcune ricerche hanno dimostrato che la genetica impatta sulla possibilità di sviluppo di patologie e sul processo di invecchiamento solo per il 25-30%, mentre la restante parte è influenzata dall’ambiente, dalla alimentazione e dallo stile di vita che svolgono un ruolo significativo nell’attivare o disattivare i nostri geni, modulando l’espressione genetica senza alterare la sequenza del Dna.

Stando all’ultimo Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, però, gli italiani sono sempre più in sovrappeso (il 12% della popolazione, quasi 6 milioni di adulti, è obesa e, complessivamente, il 46,2% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale). In ascesa anche le malattie cardiovascolari. La prevalenza della Fibrillazione Atriale, ad esempio, era dell’1% all’inizio degli anni 2000, attualmente è del 2% e si stima che possa raddoppiare entro il 2050. Così come i casi di diabete arrivati in Italia a circa 4 milioni, ma le proiezioni dicono che un ulteriore milione abbia la malattia senza che essa sia mai stata diagnosticata. E per i prossimi anni il trend risulta essere in crescita.

«Nel nostro Paese si corre il rischio di avere una tempesta perfetta: da un lato l’aumento dei fattori di rischio per diverse malattie legati sia alla demografia della popolazione, sia all’epidemiologia con un importante aumento delle malattie croniche», ha detto Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e ordinario di Igiene Generale e Applicata del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica Università Cattolica, Campus di Roma, nonché Presidente del Mission Board for Cancer, Commissione Europea. «E, dall’altro, il deterioramento forte di un Servizio Sanitario Nazionale che riesce sempre meno a garantire anche i servizi essenziali ai cittadini».

Da qui l’importanza di agire sulla prevenzione anche attraverso la diffusione della cultura di una sana alimentazione che passa attraverso gli insegnamenti dei nostri avi. La ricetta è facile: cibi semplici, freschi e poco processati. Proprio quelli raccomandati dalla dieta mediterranea.

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