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Arriva l’allenatore

Sono sempre più numerosi gli studi professionali che ricorrono a percorsi di coaching per migliorare lo spirito di squadra, il lavoro di gruppo, la comunicazione interpersonale al loro interno. Perché per vincere le sfide di oggi, complesse, veloci e intergenerazionali, non bastano più le risposte dei singoli, ma serve il coinvolgimento del valore del gruppo.

«Sembra che giochino contenti. Infatti, vincono». Di solito è questo il commento che più si sente su una squadra di calcio che ha vinto il campionato. Trasferendolo in ambito lavorativo, non capita spesso che un team di professionisti dimostri la stessa felice coesione nel portare a termine un progetto o nel raggiungere un obiettivo. Eppure: «Essere felici al lavoro si può. Chi lavora felice, lavora meglio», dice Maria Grazia Dellacasa, coach per il lavoro (mariagraziadellacasa.it) di Genova che aiuta le persone a fare chiarezza sui propri obiettivi professionali e sui passi da compiere per amare il proprio lavoro.
Con alle spalle una formazione da commercialista, dal 2013 Dellacasa si dedica sia a singoli professionisti sia a studi professionali: «lavoro per tirare fuori il meglio dalle persone, quei talenti che loro stesse non pensano di avere. Attualmente, sto intervenendo in uno studio integrato di ingegneri, architetti e commercialisti in grande ascesa. I fondatori mi hanno chiamata non perché nel gruppo il clima fosse pesante, ma proprio per creare un ambiente felice. Con loro ho cominciato a ragionare sul concetto di creatività, che è leva importante per la produttività», racconta. Le azioni da mettere in campo per raggiungere l’obiettivo sono diverse, dipende dalle competenze e dalla platea di riferimento.

«L’importante nel coaching è che si lavori in due: il coach e il coachee, entrambi partecipanti attivi del percorso», precisa Dellacasa. Ma non si tratta del “classico” incontro di formazione aziendale. «Il formatore trasmette conoscenze e competenze. Il coach è più un motivatore, e porta i singoli a rendersi conto delle proprie potenzialità. La mia formazione è gestaltica: per me la relazione è alla base di ogni rapporto», dice ancora la professionista.

 

Interventi su misura

Gli interventi vanno calibrati caso per caso, ma gli strumenti sono riconoscibili: «Faccio domande che muovono qualcosa dentro le persone. E chiedo loro risposte scritte: la scrittura aiuta a mettere in ordine i pensieri e a inquadrare meglio il problema. Ricordiamoci che sono le persone, e le loro competenze, il valore di uno studio: se non stanno bene, lavorano male e sono elementi di disturbo», avverte. Ecco perché il career coach è sempre più richiesto anche al di fuori delle grandi aziende, soprattutto in realtà in grande espansione: «Per gli studi professionali in particolare, la mia è più un’attività di group coaching che di team coaching, cioè: focalizzo l’esperienza e la performance del singolo prima di darle valore dentro le dinamiche del gruppo», continua Dellacasa.
La durata del processo di coaching varia in base all’obiettivo da raggiungere. Mediamente oscilla tra i 6 e i 9 mesi: un incontro di 2 ore ogni tre settimane, in orario d’ufficio, in modo da non intaccare il tempo libero. I tempi vanno decisi con la platea dello studio, mentre gli obiettivi vanno stabiliti con i titolari. Che devono essere i primi a credere nel percorso di coaching e pronti a fare dei cambiamenti.

 

Commercialisti più in difficoltà

«Mi occupo anche di riorganizzazione interna e noto che sono gli studi di commercialisti ad averne più bisogno: qui sono molti a fare cose che non vogliono fare, con ruoli standardizzati che soffocano la creatività», afferma Dellacasa. E i risultati che si ottengono sono buoni. A dirlo sono i feedback dei titolari che hanno testato il percorso di coaching, ma soprattutto il miglioramento del pensiero laterale e della proattività sviluppate dai professionisti dello studio. «L’intervento si misura dal miglioramento della comunicazione interna, ma anche con clienti, fornitori e delle relazioni: più sono sane, più le persone lavorano felici, più i rapporti con i colleghi migliorano. Anche nell’esprimere giudizi non positivi, ma usando parole e atteggiamenti giusti», afferma Dellacasa.

 

Si cambia insieme

E la relazione è riferimento anche per Iamena Crolla, fondatrice di cumbiapeople.it, realtà siciliana che si dedica a studi professionali, Pmi e team dove vi siano relazioni da curare. Obiettivo: fare in modo che il gruppo lavori nelle migliori condizioni, cioè con uno scopo comune, regole chiare, flussi di lavoro e processi produttivi co-costruiti. Origini uruguaiane, fino al 2021 top manager in una multinazionale parigina delle rinnovabili, da qualche anno, nelle campagne tra Scicli e Modica (RG), Crolla ha avviato il suo progetto di “co-costruzione”: «Co-costruire vuol dire impostare con il gruppo un processo di lavoro collettivo, dove io facilito la relazione, faccio in modo che l’ascolto sia vero, il dialogo sincero nel definire prima le problematiche e poi le soluzioni. Punto al coinvolgimento dei professionisti nelle relazioni e nel business aziendali. Per farlo, parto dal “fare insieme”, un nuovo paradigma della consulenza: non si tratta di indicare alla squadra cosa ci sia da migliorare, piuttosto affiancare il gruppo in modo che le soluzioni sorgano dai componenti, che sono in posizione ideale per trovarle». Anche per Crolla non ci sono interventi di coaching standard: «Gli interventi sono su misura: ne posso fare anche di puntuali, per aiutare a sciogliere un conflitto o organizzare una riunione partecipata per ascoltare il team e raccoglierne i bisogni. Oppure impostare un percorso più strutturato, che dura non meno di 12-18 mesi, il più adatto ad attivare processi di cambiamento. Non esiste un numero ideale di componenti, per un buon lavoro con la squadra: nel caso di grossi studi, la mia rete garantisce più di un esperto; nel caso i collaboratori siano pochi, il mio intervento risulta efficace nel rendere espliciti i nodi che impediscono al gruppo di crescere e perseguire la propria idea di business».

 

Tre poli per in risultato certo

I poli intorno a cui ruota il coaching di Crolla sono tre: «la strategia olistica; la relazione interna ed esterna: cioè la definizione del “chi fa e decide cosa”; i processi produttivi equilibrati». Nella pratica significa? «Il mio è un lavoro molto orientato al business: mi metto al fianco dei responsabili per capire di cosa si occupano, dove creano valore e quali sono i loro rischi. Poi, insieme alla squadra, si costruiscono le regole, per esempio, per gestire una riunione: chi va invitato, quanto tempo deve durare, quali temi affrontare. Ma anche come si prendono le decisioni e con quali strumenti, come si struttura un flusso di lavoro e come si gestisce la selezione del personale e un colloquio di lavoro. Tutte cose che rendono migliori le dinamiche in studio, perché limitano il dispendio di energie, azzerano i malumori da macchinetta del caffè, impediscono la fuga dei talenti e permettono a ogni professionista di sentirsi parte di un progetto, con le proprie competenze. Rendendo il suo lavoro gratificante e piacevole l’idea di andare in ufficio quando ci si alza al mattino».
Se sia più opportuno che il coach intervenga in studio o in un ambiente neutro, Crolla ha idee chiare: «Non escludo la doppia location. In ufficio le dinamiche si affrontano in modo più diretto e a me aiuta a immergermi nella realtà dello studio, per cogliere la cultura aziendale. Ma se serve un ambiente più sereno, senza distrazioni di mail e telefoni, allora è meglio convocare la squadra in un luogo meno condizionato dal clima lavorativo. Anche per questo ho costruito Casa Canyon, un’abitazione in bioedilizia sulle cave e il mare del sud est siciliano, che concretizza la mia visione di futuro ed è un luogo dove condividere percorsi e tematiche sul cambiamento, personale e aziendale. Come è successo a fine maggio, quando ho accolto 40 commercialisti francesi: mi hanno chiesto di aiutarli ad affrontare insieme le sfide, anche tecnologiche, legate al loro lavoro. E dopo il workshop di costruzione, abbiamo fatto giardinaggio, un corso di cucina e una degustazione di vini. Perché anche i momenti conviviali servono a capire che alle sfide di oggi – complesse, veloci e intergenerazionali – non bastano più le risposte dei singoli, ma serve il coinvolgimento del valore del gruppo».

 

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