A tre anni dalla sua approvazione, l’iter per la messa a punto del Piano nazionale di ripresa e resilienza torna a marciare nei ranghi della cabina di regia. Con alcune importanti modifiche. Compreso il taglio di alcuni progetti attesi come gli investimenti per la rigenerazione urbana, per la riduzione del rischio idrogeologico, per la realizzazione di importanti infrastrutture come la ferrovia Roma–Pescara. Tutti passati sotto la scure del Governo e dei tecnici di Bruxelles.
A tre anni dall’approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è tempo di fare un bilancio per capire a che punto siamo. Il 31 dicembre 2023 l’Italia ha incassato 102,5 miliardi di euro, le spese sostenute risultano pari a circa 45,6 miliardi e restano da spendere ancora 151,4 miliardi. Secondo i dati dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, più del 75% delle fasi delle gare dalla progettazione esecutiva all’aggiudicazione (che sembra essere il vero tallone d’Achille) è in ritardo.
Tuttavia, c’è da sottolineare come l’attuazione del Pnrr abbia coinciso con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, al quale è seguito il conflitto israelo-palestinese. L’aggravarsi delle tensioni geopolitiche, oltre a determinare un aumento dei costi delle materie energetiche e un forte innalzamento dell’inflazione, ha comportato un deterioramento della situazione economica dell’Italia e dei Paesi dell’area Ue. E quindi la rotta impressa dal ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, si muove su un percorso più stretto e accidentato. Anche perché il mancato raggiungimento degli obiettivi determinerebbe un taglio delle rate che l’Italia, nell’attuale delicata fase economica, non può certamente permettersi.
I dati dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio spiegano le scelte del Governo concordate con i tecnici di Bruxelles sul fronte della revisione: stralciati i piccoli progetti frammentati sul territorio e, come tali, condannati dalla loro stessa ingestibilità; eliminati i progetti non rendicontabili secondo i criteri europei (un problema che a inizio 2023 ha bloccato per mesi il pagamento della terza rata); modificati gli investimenti diventati troppo costosi sul fronte delle materie prime. Operazioni che hanno portato a una riduzione degli investimenti previsti di 15 miliardi di euro, che saranno coperti per un terzo dal Fondo di sviluppo e coesione e per il resto dal Piano nazionale complementare e da altri fondi nazionali.
Una nuova governance
È troppo presto per valutare se la nuova gestione, all’insegna dell’accentramento e della coordinazione di tutte le risorse europee – stia funzionando. Di certo ha avuto il merito di riportare il Pnrr al centro della scena politica, che torna a marciare nei ranghi, vale a dire nella cabina di regia a Palazzo Chigi. Una svolta politica per dare una governance unitaria al Pnrr e ai Fondi di coesione della programmazione 2021 – 2027, nonostante la levata di scudi da parte di molti amministratori locali, messi nell’angolo per velocizzare i tempi delle gare di appalto, accelerare l’approvazione dei bandi e spendere le risorse a loro disposizione. E sempre con un occhio vigile sui possibili rischi di frodi legati all’utilizzo dei fondi. Su questo fronte la Procura europea (Eppo) ha acceso un faro sui furbetti del Pnrr, rivelando che su un totale di 2 mila indagini attive in tutta Europa, 618 riguardano l’Italia, per un valore di 7,38 miliardi di euro rispetto ai circa 20 miliardi di euro su scala europea.
Tagliati i progetti più attesi
Tuttavia, l’aspetto più interessante sembra essere passato relativamente in sordina nel dibattito degli ultimi mesi. Guardando l’elenco degli investimenti cancellati dalla revisione del Piano, si nota come molti di essi sono proprio quei progetti che all’avvio del Pnrr erano stati salutati con particolare favore per il loro impatto sui territori. Gli investimenti per la rigenerazione urbana, per la riduzione del rischio idrogeologico, per i piani urbani integrati, per la realizzazione di importanti infrastrutture come la ferrovia Roma–Pescara, sono tutti passati sotto la scure del Governo e dei tecnici di Bruxelles. In attesa di capire se e quando gli investimenti stralciati dal Pnrr troveranno un’altra fonte finanziaria alternativa, il restyling del Piano sembra arrendersi alla burocrazia. Il colpo di spugna sul monitoraggio e sulla misurazione del rischio idrogeologico, la messa in sicurezza del territorio e la prevenzione è la manifestazione plastica dell’assenza di una strategia sistemica di pianificazione degli interventi in grado di superare le difficoltà nella gestione dei fondi da parte delle pubbliche amministrazioni locali.
In attesa della 5° rata
Così, se la terza rata ci aveva fatto penare, la quarta (la prima del post revisione, scaduta a giugno 2023), viene versata in un batter d’occhio, neanche il tempo per i commentatori di analizzare i nuovi obiettivi. Del resto, questi ultimi sono stati concordati preventivamente con la Commissione. Oggi, in attesa della quinta rata, la situazione sul fronte del Pnrr appare certamente più favorevole rispetto a un anno fa, quando la capacità stessa dell’Italia di portare a termine il Piano veniva messa in dubbio da più parti.
Meno riforme e investimenti
Il nuovo capitolo RepowerEu (che costituisce la missione n. 7 del Pnrr) sembra essere il paradigma di un nuovo approccio: evitare la frammentazione e la dispersione delle risorse prevedendo meno riforme e investimenti (sono 17 rispetto, ad esempio, ai 56 della missione n. 2 ‘Transizione ecologica’). E ben 6 miliardi su 11 sono destinati a un’unica misura: il nuovo credito di imposta per la transizione digitale ed ecologica 5.0 delle imprese. Stessa linea per le riforme: al di là degli interventi tecnici del Repower, la revisione porta solamente due novità, ma di grande rilievo. La prima è, appunto, la riforma delle politiche nazionali di coesione, che sembrerebbe attesa entro fine mese; la seconda è il riordino degli incentivi alle imprese (già approvata la legge-delega, il Governo lavora ai decreti attuativi entro il 2026).