Sono 1.317 e sviluppano un fatturato complessivo di 33,4 miliardi di euro. Le aziende (ma anche i professionisti) che si sono insediate in Africa continuano a crescere. E accanto alle multinazionali si fanno sempre più largo le Pmi di diversi settori: dall’alimentare al riciclo di plastica. Dalle costruzioni alle infrastrutture. Ad attrarle le potenzialità di quest’area con una popolazione di 3 miliardi di abitanti, per lo più giovani e con un Pil raddoppiato nell’arco di 15 anni.
Come una calamita. I tassi di crescita dell’economia africana e la progressiva stabilizzazione politico-istituzionale di numerosi paesi sono gli ingredienti di base che spingono sempre più aziende italiane ad avventurarsi nel continente nero. Con la creazione di un mercato unico continentale (Afcfta) che riunisce 55 paesi con una popolazione di circa 1,3 miliardi di persone e un Pil di circa 3,4 trilioni di dollari (raddoppiato nell’arco di 15 anni e che oggi cresce al ritmo del 4%) l’Africa è di fatto la più grande area di libero scambio al mondo. Avviato nel 2019, l’African continental free trade area sta progressivamente eliminando le barriere commerciali, per stimolare la produzione a valore aggiunto e il commercio intra-africano. Una strategia a lungo termine che punta a trasformare il continente in una potenza globale.
L’apertura dei mercati e lo sviluppo dei flussi commerciali tra paesi africani apre una nuova prospettiva per le piccole e medie aziende che si sono spinte oltre i tradizionali settori capital intensive energetici, delle infrastrutture e della logistica, presidiati da multinazionali del calibro di Eni, Saipem, WeBuild, Enel, per allargare l’orizzonte su settori economici in forte sviluppo: dall’agricoltura alla filiera alimentare, dalla meccanica all’ingegneria, dalle nuove tecnologie all’abbigliamento.
I dati del Maeci
Secondo i dati dell’Osservatorio economico del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) le imprese italiane che operano in Africa sono 1.317 che occupano 94.157 addetti con un fatturato complessivo di 33,4 miliardi di euro. Non solo imprese, ma anche un sempre più crescente numero di professionisti italiani attraversa il Mediterraneo per contribuire allo sviluppo di progetti, allo scambio di competenze o a partnership per gare internazionali, soprattutto nell’ambito dell’energia, delle infrastrutture e dell’ingegneria. Secondo l’Oice (l’Associazione delle organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica) nel continente africano si concentra il 42% del totale della produzione estera delle società di ingegneria, architettura e consulenza italiane. E dai dati dell’Osservatorio Annuale della Banca africana di sviluppo, emerge che l’Italia è prima tra i paesi non regionali per aggiudicazioni di gare di consulenza.
La ripresa dell’IDE
La crescente presenza di imprese e di professionisti nel continente africano ha contribuito a portare nel 2023 l’interscambio commerciale sulla soglia dei 60 miliardi di euro, trainato soprattutto dalle importazioni di gas naturale, petrolio greggio e altre materie prime da Paesi quali Algeria e Libia che, con quasi 21,5 miliardi di euro, rappresentano il 55% dell’import italiano dall’Africa. Sull’altro piatto della bilancia, l’export italiano di prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio e di macchinari vari viene assorbito prevalentemente da Tunisia, Egitto, Algeria e Marocco per un valore che supera i 12 miliardi di euro. L’interesse strategico delle imprese italiane verso il continente africano è confermato anche dalla ripresa degli investimenti diretti che dopo il blocco della pandemia sono tornati a crescere, attestandosi a quota 502 milioni di euro, con uno stock che al 2022 sfiora i 27 miliardi di euro.
Ferrovie e costruzioni
Leggendo in filigrana i dati del Maeci emerge un enorme potenziale di crescita degli investimenti italiani, soprattutto nelle regioni sub-sahariane, dove un nutrito numero di imprese ha avviato importanti progetti. È il caso, per esempio, della Italferr. La società d’ingegneria del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane è molto attiva nel continente africano. Nel 2020 si è aggiudicata la gara internazionale per il Master Plan dei Trasporti Nazionale in Etiopia, commissionato dal Ministero dei Trasporti Etiope; in Egitto sta lavorando al progetto di ammodernamento e potenziamento tecnologico della metropolitana linea 1 del Cairo; nel Maghreb ha ricevuto l’incarico per uno studio di fattibilità della riabilitazione ed ammodernamento della linea ferroviaria Trans-Magrebina; e in Marocco ha vinto il primo premio per il progetto della nuova stazione alta velocità di Casablanca nell’ambito del concorso internazionale di architettura per la progettazione di quattro nuove importanti stazioni, bandito dalle Ferrovie del Marocco.
Un altro esempio viene dal Gruppo ICM-Impresa Costruzioni Maltauro, uno dei principali player italiani nel settore delle costruzioni, che comprende imprese attive in grandi opere pubbliche di ingegneria civile, industriale e infrastrutturale. Il gruppo vicentino nel 2022 ha ottenuto il via libera per il progetto Konza Smart City in Kenya grazie al finanziamento di Sace e UniCredit. Si tratta della prima città intelligente del continente africano situata a settanta chilometri dalla capitale Nairobi che si estenderà su una superficie di 2 mila ettari. Il contratto prevede la realizzazione di opere di urbanizzazione tra cui la progettazione e realizzazione di 40 chilometri di strade, parchi, sottoservizi, impianti di potabilizzazione dell’acqua, impianti di trattamento dei reflui, un sistema di raccolta automatico dei rifiuti e alcuni edifici pubblici quali stazioni di polizia e vigili del fuoco.
Sempre in Kenya è approdata la bergamasca Montello, società specializzata in recupero e riciclo di rifiuti plastici, che in collaborazione con la Fondazione E4Impact Accelerator dell’Università Cattolica di Milano ha lanciato il progetto Pura Terra Recycling. Obiettivo: recuperare i rifiuti plastici per diminuirne la presenza nell’ambiente e ridurre la dipendenza del Kenya dall’importazione di plastica dall’estero. La joint venture punta entro il 2024 ad aumentare i volumi sia della raccolta sia della produzione.
Settore diverso ma stessa bandiera per TamAssociati, studio di architettura veneziano, che ha ottenuto il Premio Biennale di Pisa 2023 per uno studio sulla progettazione di spazi, città ed edifici dal forte impatto sociale e dalla minima impronta ecologica in Darfur. Nelle città di El Fasher ed El Geneina saranno realizzati due centri di formazione professionale (Vocational Training Center) in grado di accogliere 480 studenti e uno staff di 40 persone, per 30 studenti in ogni classe. Gli edifici serviranno a promuovere scolarizzazione, integrazione e occupazione ai rifugiati, sfollati interni e comunità ospitanti secondo quanto stabilito dal programma German Cooperation – Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit. Grazie alla loro conformazione, anche in assenza di fornitura energetica potranno autoalimentarsi nelle funzioni principali.
Food in prima linea
A puntare sul continente africano per aumentare vendite e produzione sono anche sempre più aziende agroalimentari made in Italy attratte dalle potenzialità di questo continente che vanta una popolazione di 3 miliardi di abitanti (il 50% ha meno di 20 anni). In Costa d’Avorio, per esempio, è presente dal 1994 Airone Seafood, azienda emiliana che tra lo stabilimento di trasformazione e l’hub commerciale di Abidjan, dà lavoro a 1.700 addetti e produce ogni anno 150 milioni di confezioni di tonno in scatola, per il 65% destinati al mercato italiano. Mentre in Senegal Frutta Italia Sa coltiva meloni e angurie su 300 ettari di terreno. I frutti rispondenti agli standard europei vengono esportati in Italia consentendo alle grandi catene di supermercati di avere meloni freschi anche fuori stagione, anticipando così il raccolto italiano.
E ancora: la veneta Pedon coltiva fagioli in Etiopia, mentre la start-up Sweet Africa coltiva e lavora in Kenya frutta tropicale secca ed essiccata destinata al mercato italiano. Rizzoli Emanuelli, invece, sta costruendo uno stabilimento ittico in Tunisia, mentre il Gruppo BF (holding di Bonifiche Ferraresi), già presente in Ghana, Egitto, Tunisia, Congo e Angola, è da poco approdato in Algeria per produrre grano duro in partnership con un operatore locale.
Non solo coltivazioni. Un ruolo importante lo giocano anche i produttori di macchine agricole e di impianti per il food&beverage. In Angola, per esempio, la fiorentina Andreotti Impianti, realizzerà il più grande stabilimento del continente africano per il trattamento dei semi oleosi e l’estrazione di olio, con una capacità produttiva fino a 4.000 tonnellate di semi di soia o 2.400 tonnellate di semi di girasole al giorno. Voluto dal governo locale, supportato da Sace e finanziato per 57 milioni di euro da Deutsche Bank.