Dopo oltre due secoli di neutralità e di non allineamento militare, la Svezia entra nella Nato per difendersi dalla minaccia russa. Ma per superare i veti di Orban e di Erdogan, il primo ministro Kristersson è dovuto scendere a patti. Revocato l’embargo di armi alla Turchia, cooperazione a tutto campo nella lotta al terrorismo e tagli ai fondi per i movimenti pacifisti. Aspettando le elezioni americane
Dopo un lungo e complesso negoziato politico, il 7 marzo scorso il Regno di Svezia è diventato il 32° Stato membro dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato).
Il percorso di Stoccolma verso la Nato è stato a dir poco accidentato. Già nel luglio 2022 la Svezia, insieme alla vicina Finlandia, aveva firmato il protocollo di adesione, ma ha dovuto affrontare la strenua opposizione politica da parte della Turchia e dell’Ungheria. I due paesi, che per pura coincidenza sono i sostenitori più riluttanti delle politiche dell’alleanza a sostegno dell’Ucraina, hanno dovuto ratificare obtorto collo la richiesta di adesione svedese, in conformità con la disposizione statutaria della Nato che prevede il consenso unanime a qualsiasi nuova adesione.
I veti turchi e ungheresi
Da una parte, il veto di Budapest all’ingresso della Svezia nell’alleanza è stato un modo per dimostrare il profondo dissenso dell’Ungheria nei confronti delle critiche che il paese scandinavo, tradizionalmente molto legato ai valori social-liberali, molto spesso ha lanciato nei confronti del modello di “democrazia illiberale” di Victor Orban. Dall’altra parte, l’atteggiamento ostile di Ankara si colloca invece su un piano più strettamente negoziale, che tiene insieme la questione curda e l’embargo di armi alla Turchia. La Svezia ospita nel suo territorio numerosi rifugiati del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e, nonostante la decisione della Turchia di etichettare quest’ultima come organizzazione “terroristica”, ha sempre sostenuto la lotta di gran parte della popolazione curda alla frontiera orientale della Turchia per raggiungere l’indipendenza. E non si è tirata indietro per condannare i metodi oppressivi del presidente Recep Tayyp Erdogan nei confronti dei curdi, imponendo un embargo sulle armi ad Ankara.
Ad aggiungere benzina sul fuoco, lo scorso anno, nel bel mezzo delle negoziazioni per l’ingresso della Svezia nella Nato, in alcune città svedesi si sono susseguite diverse manifestazioni anti-islamiche, scatenando l’ira di Ankara e di tutto il mondo islamico. Tuttavia, se la libertà di espressione è un principio non negoziabile per le leggi liberali svedesi, il primo ministro Ulf Kristersson è dovuto scendere a patti, revocando l’embargo e promettendo una stretta cooperazione con la Turchia nella lotta al terrorismo, offrendo così a Erdogan la sponda per rafforzare la sua pretesa centralità nelle relazioni politiche internazionali.
Neutralità addio La decisione di Stoccolma di bussare alla porta della Nato potrebbe a prima vista sembrare una scelta senza precedenti nel contesto della storia del Paese. Il Regno infatti non è mai stato in guerra dal 1814 e la sua politica di non allineamento militare ha resistito sia ai grandi conflitti mondiali. Nonostante sia una delle democrazie occidentali più avanzate in termini di governance trasparente, diritti umani, uguaglianza di genere e lotta contro la discriminazione, la Svezia ha scelto la neutralità durante il periodo della Guerra Fredda e il suo emblematico primo ministro socio-democratico Olof Palme fu un forte critico della politica estera americana e un convinto sostenitore dei movimenti di liberazione in tutto il mondo.
Un esame più attento della sua storia recente dimostra tuttavia che il Paese scandinavo non era realmente una Svizzera del Nord: membro dell’Unione europea dopo il referendum del 1994, Stoccolma era vincolata dai trattati firmati al momento della sua adesione, sostenere le misure di politica estera e di sicurezza comune adottate collettivamente dagli Stati membri. Nel 1997 ha fatto un ulteriore passo avanti unendosi al Consiglio di partenariato euro-atlantico e ha ottenuto lo status di “opportunity partner rafforzato” dell’alleanza grazie al suo contributo significativo alle operazioni Nato in Afghanistan, Kosovo e Iraq. La minaccia russaIl governo di destra di Kristersson, entrato in carica il 18 ottobre 2022, dipende fortemente dal sostegno parlamentare dei Democratici svedesi, un partito ancor più di destra, euroscettico e anti-immigrazione, che sostiene l’aumento della spesa militare e dell’esercito del Paese. L’opposizione di Kristersson, tuttavia, è lungi dall’essere contraria all’adesione alla Nato, dal momento che sono stati i social-democratici di Andersson a presentare la richiesta ufficiale del Regno all’alleanza all’indomani dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia. Sarebbe quindi giusto dire che la decisione della Svezia di aderire alla Nato, non è così sorprendente.Ciò che è più sorprendente, e certamente senza precedenti in Svezia, è l’annuncio del governo sull’abolizione del fondo per la pace che ha assistito finanziariamente le organizzazioni che promuovono la pace dagli anni ’20.