La riforma delle pensioni e il voto sull’immigrazione hanno scatenato vero e proprio un terremoto politico in tutto il Paese. Schiacciata dalle manifestazioni di piazza e dal dissenso interno, il primo ministro Borne getta la spugna. Crolla la popolarità del presidente Macron che corre ai ripari, chiamando a palazzo Matignon il giovane Attal. Che avrà l’arduo compito di risollevare l’immagine del governo e soprattutto rimpolpare i consensi del partito in vista delle europee di giugno. Le Pen permettendo
Non è un lavoro facile essere primo ministro in Francia, sotto un presidente del calibro di Emmanuel Macron. Per tante ragioni. Anzitutto, perché il modello semi-presidenziale della repubblica francese prevede che il capo dello Stato, eletto direttamente dal popolo, nomini il primo ministro sulla base del risultato elettorale. Sulla carta il potere esecutivo è condiviso tra il presidente e il primo ministro. Quest’ultimo svolge un ruolo di coordinamento di governo, senza esercitare un forte potere decisionale e d’intervento; mentre il presidente della Repubblica ha un ruolo molto attivo, anzi decisivo, nella scelta dei ministri e nel disegno delle politiche e delle proposte legislative che poi il primo ministro sottopone al Parlamento. La fiducia di questi ultimi è ovviamente necessaria per la conferma del governo, ma i presidenti possono comunque chiedere ai loro primi ministri di dimettersi e nominare un’altra persona alla carica, se ritengono che la performance del governo non sia sufficientemente soddisfacente. E così è accaduto lo scorso 8 gennaio.
Sempre sul filo del rasoio
«Avete portato avanti il nostro progetto con il coraggio, l’impegno e la determinazione delle statiste», ha detto Macron accogliendo le dimissioni di Elisabeth Borne, nominata primo ministro poco dopo l’elezione di Macron al suo un secondo mandato alla presidenza nel maggio 2022, acciuffata con un pugno di voti in più rispetto alla sua rivale Marine Le Pen, che però non ha garantito al partito del presidente – République En Marche! (ribattezzato poi Renaissance) – la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, obbligando l’algida Borne, la seconda donna primo ministro nella storia del Paese, a districarsi a malapena in un governo di minoranza e costretta ad adottare riforme impopolari come quella sulle pensioni che ha innalzato l’età pensionabile da 62 a 64 anni e che ha scatenato manifestazioni e violente contestazioni in tutta la Francia. Nei quasi due anni passati a Palazzo Matignon, Borne è riuscita a sopravvivere a due voti di sfiducia e a innumerevoli dissensi interni, ma nonostante un rimpasto di governo nel maggio 2023, la sua posizione è diventata insostenibile dopo il varo della riforma sull’immigrazione, approvata lo scorso dicembre con l’appoggio dell’estrema destra: un assist politico al partito di Le Pen.
Cambio della guardiaLe dimissioni di Borne confermano, in un certo senso, il nervosismo del presidente francese che ha visto precipitare la sua popolarità dopo le riforme da lui imposte e che ora cerca di recuperare consensi in vista delle elezioni europee del prossimo giugno: i sondaggi in Francia danno al momento in vantaggio il Rassemblement National, il partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen. Il rilancio del “macronismo” è ora nelle mani di Gabriel Attal, che ha l’arduo compito di ricompattare le fila del governo e dell’elettorato. Considerato il delfino di Macron, il 34enne Attal è la persona più giovane ad assumere la carica di primo ministro in Francia. Figlio di un avvocato francese di origini ebraiche e madre di origine russa che lavorava nel settore cinematografico, Attal è stato allevato nella religione cristiano-ortodossa prima di intraprendere con successo studi di scienze politiche presso il famoso “Sciences Po” di Parigi, dove ha conseguito una laurea magistrale in Affari pubblici. L’allievo del macronismoCome Macron, il giovane talento ha iniziato la sua carriera politica nel Partito socialista e sotto quella bandiera è stato eletto consigliere comunale a Vanves, un sobborgo di Parigi, dove ha guidato l’opposizione al sindaco di destra. Sedotto dal progetto riformista di En Marche! è stato tra i primi a entrare nel cerchio magico di Macron, e nel 2017 è stato eletto al Parlamento. Da quel momento in poi, la carriera del “bravo allievo del macronismo”, come lo ha pennellato il Figaro, è stata un’escalation continua: da sottosegretario all’Istruzione e alla Gioventù nel 2018, è stato elevato alla carica di portavoce del governo nel 2020, e nel 2022 Macron gli affida la delega dei conti pubblici, poi in occasione del rimpasto di governo Borne del 2023, assume la carica di ministro dell’Istruzione e in breve tempo diventa la nuova star dell’esecutivo, grazie alle sue grandi doti di comunicatore e a un paio di misure ben assestate (il divieto dell’abaya musulmana nelle scuole e il ripristino dell’autorità e del rispetto per gli insegnanti nelle scuole) che hanno fatto schizzare la sua popolarità alle stelle, ma anche parecchie invidie tra i big del governo. Popolare, magnetico e affabile, dichiaratamente gay, Attal sembra il profilo ideale per dare nuovo smalto al secondo mandato di Macron che ha di fronte a ancora tre anni di presidenza, per risollevare l’immagine del governo e soprattutto rimpolpare i consensi del partito in vista delle europee, ma anche sul fronte della politica interna.