La passione per la vela l’ha ereditata dal padre fin da bambino. Poi, per uno scherzo del destino, è diventato medico chirurgo. Ma l’amore per il mare e le sue sfide non l’ha mai perso. E oggi sogna l’Atlantico e Capo Horn, il suo Santo Graal.
Il gusto pieno della vita sta nel far mangiare la polvere in gara a concorrenti di decine d’anni più giovani, sulla carta più performanti dal punto di vista fisico e che per partecipare alle competizioni hanno investito un quantitativo di tempo e danaro di gran lunga superiore. Certo, il mangiar la polvere è espressione impropria. Si tratta casomai di miglia marine, perché Alessandro Luzzati è velista per passione e medico per professione. Iscritto all’Ordine sin dal 1980, oggi è responsabile del Centro di Chirurgia ortopedica oncologica e ricostruttiva del rachide dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio (gruppo San Donato) di Milano. E la passione per la navigazione l’ha ereditata dal padre genovese, che sin da quando aveva sei anni lo portava con sé a veleggiare nelle acque del Golfo per escursioni destinate a concludersi regolarmente con una immancabile grigliata.
Chirurgo per caso
All’ambiente familiare si deve anche il nome, che Luzzati ha conferito alle diverse barche da lui condotte – l’attuale è la numero sei – nel corso del tempo: Ileus, che era quello di un gatto, personaggio ricorrente delle fiabe che un fantasioso nonno raccontava ai nipoti, chissà se per favorirne o agitarne i sonni.
Nominato primario a Cremona all’età di 44 anni, Luzzati oggi conta 69 primavere, ma di mollare la barra (idealmente al figlio Federico), non ha intenzione alcuna. Anzi, via via ha spostato sempre più in alto l’asticella delle sue ambizioni e coltiva sogni (quasi) proibiti. D’altra parte a orientarne il percorso professionale fu una sfortunata coincidenza. Più che un’avaria poté il cibo avariato, si direbbe. «A 17 anni», ha raccontato a Il Libero Professionista Reloaded, «grazie a un annuncio sono stato ingaggiato da un equipaggio impegnato nella Middle Sea Race sulla rotta Palermo-Malta. Si trattava già di per sé di un’avventura e a complicarla sono state le condizioni meteorologiche critiche, col mare agitato da venti di burrasca, e peggio ancora la fame. La cambusa conservava sì degli arancini ma da quanto tempo non è dato sapere. L’appetito ha avuto la meglio e l’esito era scontato. Nonostante né prima di allora né in seguito io abbia mai sofferto del classico mal di mare, quella volta ne patii orribilmente per trenta ore fila. Una volta giunti a Malta sono stato inevitabilmente lasciato a terra: i miei compagni hanno proseguito compiendo il giro del mondo. Non fosse stato per gli arancini, probabilmente la mia vita sarebbe stata molto diversa: avrei fatto il velista e non il medico: in famiglia dicono che per la medicina sia stato molto meglio così».
Onda su onda
L’amore non si è spento e ha covato sotto la cenere sino a quando il dottor Luzzati non ha deciso di acquistare una piccola barca da regata con cui veleggiare sul lago di Garda. È stata solo la prima di una serie, come detto, e gli ha permesso di porre le basi per i successi a venire. «Alla classica Barcolana di Trieste del 2011», ha ricordato con orgoglio, «hanno partecipato circa 2.000 imbarcazioni. L’edizione era importante poiché concomitante alle celebrazioni per i 150 anni dall’unità d’Italia. Con un team composto da altri due membri oltre al sottoscritto siamo riusciti a tagliare il traguardo per primi nella nostra categoria ricevendo in premio trofei da primato per prestigio e stazza: sono le coppe intitolate alle principali istituzioni nazionali, Presidenza della Repubblica inclusa».
Fra le new-entry della flotta di Alessandro Luzzati spicca, ormeggiata nei pressi della casa di vacanza a Camogli, un esemplare di Classe Mini 650 di produzione francese. «È adatta sia alle regate in solitaria sia di coppia», ha spiegato, «come modello prodromico a quelli utilizzati per i campionati oceanici in solitaria. L’idea iniziale era di farci solo qualche giretto: mi sono ben presto reso conto che si tratta di un bolide paragonabile alle Formula 1, un frullatore che mette il fisico a dura prova. Ebbene, a 64 anni e insieme a mio figlio l’ho condotta al podio con grande scorno dei ben più giovani rivali. Devo ammetterlo: batterli è divertente e quel che mi distingue da molti di loro è l’approccio alla navigazione. In tanti vi si avvicinano in maniera a mio avviso troppo cerebrale: io non penso, ho esperienza, sento le onde e lo scafo e con questo formo un tutt’uno».
La ricerca del Graal
Tutto questo è forse persino più utile quando si debbono affrontare regate in solitaria come quella da 220 miglia marine per 60 ore di navigazione – «delle quali solo sei di sonno» – che Luzzati ha concluso al terzo posto nel 2023, sulla rotta Genova, Gallinara, Corsica, Capraia e ritorno. Un altro bronzo gli è stato tributato al Giro dell’arcipelago in Toscana; i sogni nel cassetto («Il mio Santo Graal», ha precisato) sono l’Atlantico e Capo Horn. «Per tentare queste imprese», ha ironizzato, «dovrei prima superarne una ancora più complicata: vincere la ferma opposizione di mia moglie. Per il prossimo settembre ho in programma però una nuova regata; in primavera la Roma per Due, 500 miglia fra Civitavecchia e Lipari, in compagnia di un altro folle 72enne. Non è azzardato affermare che l’età del nostro equipaggio equivalga a quella di altri tre messi insieme».
Della vela Luzzati ama innanzitutto le sfide: lavarsi con acqua salata e usare il mare come toilette, vivere per giorni e giorni di cibi liofilizzati e barrette. Il premio finale va però ben oltre il valore degli ingombranti trofei. «Ho praticato anche lo sci alpinismo», ha concluso, «che richiede chiaramente doti fisiche e un’anagrafe differenti. Come la vela offre però la possibilità di mettere uno iato rispetto al quotidiano, che nel mio caso è costellato sovente di esperienze tragiche. Ne ho vissute anche in mare, sia chiaro, visto che la mia prima Caorle-Tremiti a 19 anni è stata interrotta a causa di un incidente mortale, ma le onde mi consentono di staccare del tutto, per giorni o settimane, da quel che di solito mi circonda, senza telefonini né altri superflui orpelli. Sono concentrato solamente sulle mie necessità e sul mare: ed è così che riesco a riaccendere il sorriso».