Non è solo instabilità: cambiare spesso lavoro rivela un desiderio di equilibrio e realizzazione personale. Il fenomeno del Job Hopping è in crescita tra Millennial e Gen Z e sfida i modelli tradizionali del mercato del lavoro italiano.
Si chiama Job Hopping, letteralmente “saltare da un posto di lavoro all’altro”, e sembra essere la nuova attitudine di Millennian e GenZ che, secondo un recente report di LinkedIn, registrano una media di 4,2 posti di lavoro nei primi 10 anni della loro carriera. I boomer tendono a etichettarli come inaffidabili, superficiali, impazienti, incontentabili ma alle radici di questa scelta ci sono motivazioni molto più profonde di una semplice etichetta.
Il fenomeno oltre i pregiudizi
Chiariamo subito che il Job Hopping non è dovuto all’incapacità di tenersi un posto di lavoro, a una scarsa retribuzione e a contratti non gratificanti. La tendenza è più legata al desiderio di trovare un impiego che soddisfi appieno aspettative che attengono soprattutto alla sfera personale. Perché se un tempo la carriera era tutto oggi spesso al primo posto c’è il work life balance.
«Ancora oggi per i junior il lavoro è un investimento forte perché gratifica, dà riconoscibilità e indipendenza economica ma rispetto al passato le aspettative sono più articolate» spiega Mariangela Tripaldi psicologa, consulente di carriera e fondatrice di CoachLavoro. «I giovani sono oggi più critici nei confronti del loro lavoro, non sono più disposti ad accettare situazioni e condizioni in maniera passiva o con un approccio di sudditanza come era comune per le generazioni precedenti. Oggi è considerato più importante trovare la propria dimensione».
Nuove priorità: benessere, identità e senso del lavoro
Il Job Hopping è trasversale a varie categorie di giovani lavoratori. «I più ambiziosi sono impazienti di imparare e crescere e non sono più disposti a fare gavette infinite o a vedersi parcheggiare in attesa di un’occasione. Vogliono riscontri immediati» continua Tripaldi. «In più, vogliono crescere senza rinunciare al benessere e quindi cercano situazioni che favoriscano il work life balance, una consapevolezza alla quale i genitori sono arrivati dopo decenni di carriera, dopo aver dato tutto per il lavoro e magari essersi caricati di responsabilità eccessive che non hanno lasciato spazio ad altro».
Se gli ambiziosi cambiano spesso lavoro alla ricerca di un contesto dove fare carriera senza rinunciare alla propria serenità, gli altri, cioè quelli che non mettono le ambizioni lavorative e la carriera al primo posto nella loro vita, spesso si trovano a cambiare lavoro semplicemente perché non vanno d’accordo con i capi o non si trovano a loro agio con il team. E lo fanno senza sensi di colpa, scontrandosi così con un mercato del lavoro che in Italia è ancora molto tradizionale e considera questo tipo di lavoratore come poco ingaggiato, non incline al sacrificio. «E così molti decidono di andare all’estero dove cambiare lavoro non è considerato strano né penalizzante e non ha come conseguenza le pressioni familiari e sociali».
I rischi e le sfide per lavoratori e aziende
Il rischio del Job Hopping è la mancanza di consapevolezza. «Saltare da un posto all’altro senza avere obiettivi precisi può essere controproducente e diventare addirittura un circolo vizioso» spiega la coach. «I giovani devono monitorare costantemente i loro valori, valutare le potenzialità interne e le opportunità esterne, per evitare sia di parcheggiarsi sia di saltare da un posto all’altro senza centrare l’obiettivo. Tentativi sì, ma non alla cieca».
Da parte delle aziende il Job Hopping può essere vissuto come un problema o un’opportunità. «Investono in formazione e poi rischiano di trovarsi posti vacanti, turn over esagerato o giovani insoddisfatti e demotivati, non coinvolti. Per i datori di lavoro si apre quindi un tema nuovo e importante che va affrontato con altrettanta consapevolezza: la retention dei talenti».