Lei ha ottenuto la direzione del Museo Tridentino di Scienze Naturali nel 1992, a soli 35 anni. Cosa ricorda di quella prima esperienza?
Ricordo l’entusiasmo e la mia voglia di fare. Era stato l’esito positivo di una mia scelta fatta pochi anni prima di “resistere” alla tentazione del posto universitario, avevo vinto una posizione permanente di ricercatore, ma avevo preferito rimanere proprio perché convinto moltissimo nelle potenzialità dei musei. Già allora si parlava di ecomusei, che ci hanno insegnato i principi della partecipazione delle comunità. Per via di una mia precedente esperienza professionale come presidente di una cooperativa di archeologici ero già interessato ai temi del management e del marketing, ereditavo inoltre un museo che si era già caratterizzato per una precisa anima ambientale. Tutto questo invitava a elaborare una mission innovativa che, con qualche buon studio e una costante attenzione a quello che accadeva attorno a noi, e non limitatamente allo scenario nazionale, permetteva di prefigurare e avviare la rilettura della mission e l’elaborazione di nuove proposte. Su tutto, la possibilità di aver potuto operare con una prima squadra di coetanei, tutti molto motivati, che la Provincia Autonoma di Trento ci permise di costruire. Da allora lo stile è quello della squadra, compiti e responsabilità condivisi, al di là di gerarchie e imposizioni formali.
Oggi i musei sono organismi molto più complessi rispetto al passato. Oggi cosa significa dirigere un’istituzione museale?
Amo ricordare che quando arrivai all’allora Museo Tridentino di Scienze naturali, era il 1988, eravamo 23 persone delle quali solo tre laureate. Ora siamo in oltre 250 di cui 150 laureati, per contare solo quelli in discipline scientifiche. Oggi lo stile di leadership, di management, di project e product design (uso appositamente questi termini non certo specifici della museologia), sono modalità che abbiamo voluto sviluppare al nostro interno e ora caratterizzano il nostro stile operativo insieme al concetto di responsabilità e partecipazione dei nostri teamwork. Questo ci permette di trovare una giusta armonizzazione tra i criteri della programmazione con le sue tradizionali sequenze di strategia, programmi e progetti e gli elementi caratteristici dell’approccio “agile” con le sue fasi di focalizzazione sul perché dei progetti e per chi, la prototipazione con collaudi e infine l’esecuzione. Questo approccio vale soprattutto per le iniziative educative, i programmi per il pubblico e le mostre, per le quali sapere come intercettare gli interessi e il livello di apprezzamento da parte dei nostri interlocutori è fondamentale. Ovviamente non si riesce in questo breve testo a riportare la complessità di un museo che tratta visitatori dai 0 ai 99 anni, pubblica su Nature e si adopera per lo sviluppo locale anche intercettando rilevanti istanze economiche. Abbiamo ben presente il concetto di accountability e dal 2012 pubblichiamo annualmente sul sito www.muse.it, che negli anni chiamato Bilancio di sostenibilità e ora Bilancio di Missione.
Tra le varie attività che Lei conduce come studioso e manager in ambito culturale, c’è quella di Presidente di ICOM Italia ( www.icom-italia.org ), tra i cui obiettivi c’è quello di sostenere lo sviluppo di una comunità di professionisti museali. Non crede che la valorizzazione e la tutela dei lavoratori in ambito culturale sia sempre un po’ ai margini delle politiche del nostro Paese?
Amo dire che, nel caso dei musei, le politiche del nostro Paese siano più solite misurare i piedi che entrano nei musei diviso per due e non i cuori o i cervelli. Come a dire che siamo presi in considerazione, se il caso, come soggetti economici e molto meno come soggetti culturali. Come ICOM siamo molto impegnati nel sostenere il riconoscimento delle professioni museali, basti pensare alla carta nazionale delle professioni museali del 2005 e della sua revisione del 2017. Ma è nella messa in pratica che emergono i problemi, ovvero l’adozione di profili contrattuali adeguati agli incarichi e il sistematico sotto dimensionamento rispetto alle funzioni effettivamente svolte. Eppure esistono profili contrattuali ben determinati, basti pensare a quelli proposti da Federculture, ma troppo spesso nella contrattualistica, anche nel settore pubblico, si opta per profili non congrui e con profili economici inadeguati. ICOM si è posto il compito di vigilare su questa situazione ma l’Associazione non ha titolo per operare diversamente se non nell’esprimersi pubblicamente in modo critico su queste situazioni.
Il patrimonio museale italiano è vasto e costituito soprattutto da piccoli musei che non dispongono spesso di risorse adeguate. La cronaca di questi giorni riporta la notizia dell’ennesimo museo che cerca un nuovo direttore scientifico, con un mandato di tre anni a titolo gratuito. Non pensa sia scoraggiante?
Ciò che si chiede ai musei oggi è diverso da quello che era considerato sufficiente un tempo, non basta tenere una collezione più o meno aperta al pubblico. Al museo oggi si chiede di operare come un vero e proprio hub di riappropriazione culturale ai sensi della Convezione di Faro con e per le proprie comunità; di essere impegnati in percorsi di accessibilità e di cultural welfare; di svolgere funzioni educative; di concorrere al brand territoriale … Per questo la figura del direttore di museo è diventata fondamentale e, non a caso, deve possedere una pluralità di competenze. Senz’altro quelle disciplinari dal momento che il museo deve poter esprimere la propria potestà culturale sul patrimonio conservato, ma anche di governance e di promozione.
I cosiddetti piccoli musei sono una risorsa fondamentale del patrimonio culturale italiano. Il più delle volte sono di proprietà e gestiti da amministrazioni civiche a loro volta “piccole” e le risorse sono sistematicamente scarse. Il museo deve puntare a degli standard minimi di performance altrimenti la sua stessa esistenza può essere messa in discussione. Per quanto sopra detto non si fa riferimento alla sola questione dei visitatori, ma al complesso di funzioni di cui si è fatto sopra cenno. Il volontariato culturale che è una categoria assolutamente rilevante soprattutto nei settori sociali e culturali, ma non può certamente sostituirsi alla professionalità oggi necessaria per condurre queste risorse. Il problema è dunque quello di individuare sistemi adattativi capaci di portare a standard le gestioni distribuite che, lasciate a sé stesse, faticano a raggiungere tali soglie. Da tantissimo tempo la soluzione individuata è quella delle reti o dei sistemi territoriali, soluzione che permette di disporre di direttori, ricercatori, tecnici, servizi educativi, servizi turistici di rete, permettendo l’ottimizzazione assieme alla professionalità del servizio offerto. Il volontariato ovviamente può utilmente affiancarsi a questo approccio, diventando a pieno titolo una risorsa non solo in termini di servizi, ma anche di partecipazione attiva delle comunità e non sostitutivo delle necessarie professionalità per condurre tali azioni.
Il nuovo Muse ha compiuto dieci anni. E’ soddisfatto?
Molto. Sopra abbiamo ricordato i tanti elementi che concorrono a definire l’intera operazione Muse come un’impresa di successo. Ora, più che guardare al passato, è opportuno riflettere su quali siano le minacce e le opportunità che il museo dovrà affrontare per i prossimi dieci anni. Non credo che si possano inserire in una strategia di medio-lungo termine i tanti elementi di rischio esterni allo specifico gestionale del museo. Qui intendo eventuali nuove situazioni tipo COVID, questa volta superate grazie alla copertura de finanziamenti pubblici, o situazioni macroeconomiche e politiche esterne e il progressivo emergere degli impatti socio economici legati alla crisi climatica. Per quanto riguarda il funzionamento della macchina museo, il permanere in questi anni dell’affetto e della frequentazione dei pubblici ci induce a pensare che le modalità di rapporto con i frequentatori e i costanti miglioramenti e cambiamenti dell’offerta permetteranno al museo di rimanere un soggetto rilevante per il nostro territorio, sia di chi deciderà di visitarci come “escursionista”, ovvero con noi come destinazione unica, oppure come “turista” con il museo come elemento qualificante l’offerta turistica territoriale. Stessi ragionamenti per il comparto educativo, il cultural welfare e il nostro contributo alla ricerca scientifica. Quello che mi soddisfa di più, tuttavia, è l’ottimo livello professionale e umano del team museale, la vera condizione sotto la quale qualsiasi impresa ha la possibilità di svilupparsi e prosperare.