I postumi del “quantitative easing”

Nei primi giorni di febbraio scorso, le due principali banche centrali del mondo, la Federal reserve (Fed) e la Banca centrale europea (Bce), hanno annunciato l’aumento dei tassi di interesse a breve che controllano. Negli USA il federal funds rate, il tasso sulla liquidità interbancaria a breve termine, verrà mantenuto entro un corridoio rialzato di un quarto di punto, fra il 4,5% e il 4,75%. L’aumento è stato minore di quelli degli ultimi dieci mesi e mezzo di stretta contro l’inflazione. Nell’annunciarlo, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha ribadito che le prossime decisioni dipenderanno molto dai dati congiunturali che nel frattempo giungeranno.

(foto: federal reserve)

Lo scenario Usa

Lo scenario per il quale pare propendere la banca centrale statunitense, è quello di un’inflazione che continua a scendere, ma più lentamente di come ha fatto finora, mentre la crescita del Pil rimane piuttosto stabile e bassa, nell’ordine dell’1% annuo. Allora i tassi USA verrebbero aumentati di 0,25% alla volta, per due o tre volte, fino a inizio estate, e rimarrebbero alti almeno fino alla fine dell’anno.

Powell ritiene invece improbabile la stagflazione, con l’inflazione che scende molto piano e una crescita nulla o una recessione. Secondo la Fed infatti gli ostacoli, i blocchi, le rigidità dell’offerta aggregata, quelle che hanno caratterizzato la pandemia così come le conseguenze della guerra ucraina e della crisi energetica, stanno rientrando: con i prezzi crescenti, le produzioni si adeguano più fluidamente alla domanda, evitando la stagflazione.

Negli USA i mercati sembrano però a tratti pensare a uno scenario diverso da quello di un’inflazione che scende piano con una crescita positiva anche se contenuta. Paiono cioè prevedere che l’inflazione diminuirà più rapidamente di come pensa la Fed, ma con un aumento reale del Pil che si inceppa seriamente, con anche il rischio della recessione. Secondo le previsioni i tassi verranno alzati ancora non più di una volta e torneranno a scendere prima della fine dell’anno, per ridar fiato alla crescita in crisi. Alcuni dati sui contratti derivati di tasso paiono riflettere questa previsione.

(foto Christine Lagarde)

I tassi della Bce

Nell’eurozona, l’articolazione degli scenari è minore, perché il problema della forte inflazione rimarrà più a lungo dominante. Christine Lagarde, la presidente della Bce, ha annunciato un aumento dei tassi a breve doppio di quello statunitense. Finora la velocità media mensile della salita dei tassi è stata leggermente maggiore che negli USA. È però cominciata solo a fine luglio 2022, con un ritardo di quattro mesi e mezzo rispetto agli aumenti della Fed, pur in presenza di un’inflazione che nell’estate scorsa era ugualmente alta che negli Stati Uniti e cresceva più svelta. Sicché oggi i tassi a breve dell’eurozona sono due punti sotto quelli americani, ancora nettamente negativi se calcolati in termini reali, cioè al netto dell’inflazione che da noi è di circa due punti superiore a quella statunitense. Per far rientrare l’aumento dell’indice dei prezzi verso il famoso 2%, che le politiche monetarie considerano sintomo di “stabilità”, occorrerà dunque che la stretta monetaria rimanga fin quando negli USA potrà già avviarsi a cessare.

(foto: orsi e tori)

Un taglio ai titoli in bilancio

Oltre ad aumentare i tassi, la normalizzazione delle politiche monetarie richiede che, sia la FED che la BCE, riducano l’enorme quantità di titoli che hanno accumulato in bilancio con gli acquisti del quantitative easing (QE). Anche in questo la Fed è più avanti della Bce, che solo in marzo comincerà a rinnovarli solo parzialmente, man mano che giungono a scadenza. Ai titoli presenti nei loro bilanci, corrisponde la liquidità sovrabbondante che c’è nei mercati, entrata con gli acquisti del QE.

Eurozona, eccesso di liquidità

Guardiamo al caso della Bce. Quella liquidità sovrabbondante è costituita dai depositi delle banche presso la Banca centrale, cioè le passività della Bce in contropartita alle attività costituite dai titoli comprati col QE.  Una volta immessi nell’economia con gli acquisti di titoli della banca centrale, gli euro finiscono nelle banche e da queste vengono depositati presso la Bce, dove cambiano di proprietario man mano che circolano nei mercati.

(foto: Bce)

Per avere un’idea dell’enormità di questa liquidità, di questa “base monetaria” presente nell’economia, basterà ricordare che si tratta di più di 4 mila miliardi di euro, più del 30% del Pil dell’eurozona, un ammontare più che decuplicato dal 2014. Fino a che c’è così tanta liquidità nei mercati non è facile capire come possano salire i tassi a breve. Essi sono infatti il prezzo della liquidità, che per salire dovrebbe vederla diventar scarsa. Di fatto la Bce spinge verso l’alto i tassi del mercato monetario quando aumenta quello con cui remunera i depositi delle banche. Oggi questi rendono il 2,5% mentre sono stati negli anni passati anche negativi, con le banche che dovevano pagare la Bce per tenere i depositi.

I tassi del mercato monetario non si staccheranno però da quello che remunera i depositi delle banche. Infatti, le banche molto liquide li faranno scendere fino al minimo, sotto il quale non converrà a nessuna prestare la propria liquidità, in quanto la Banca centrale europea garantisce quella remunerazione ai suoi depositi. Man mano che sale il tasso sui depositi sale anche quello sulla liquidità interbancaria, che però rimane schiacciato sul primo, se la liquidità non è abbastanza scarsa da comandare un tasso più alto di quello offerto dalla Bce.

Un rialzo innaturale

Ma sembra un rialzo artificioso, innaturale. Il vero modo per rientrare nella normalità è riasciugare la liquidità, e quindi ridurre quei depositi delle banche, vendendo sui mercati i titoli acquistati in passato. Così facendo si deprimeranno i loro prezzi, causando perdite della banca centrale che li ha comprati quando costavano di più. La perdita e il calo dei corsi saranno tanto maggiori quanto più alti saranno diventati i tassi. Converrebbe far procedere più parallelamente l’inversione del QE, il cosiddetto QT (quantitative tightening) e l’aumento dei tassi. Togliere liquidità man mano che si vuol farne salire il prezzo. A meno che la Bce non pensi di non vender mai quei titoli, trasformando in una normalità un bilancio anormale. Ma questo significherebbe aprirsi all’eventualità che da varie parti, compresi i governi, venga di nuovo la preghiera di comprarne altri. Si rischierebbe la fine dell’indipendenza della banca centrale, nonché della politica monetaria normale e stabilizzante.

Politiche monetarie prevedibili

Molti si lamentano perché le banche centrali non spiegano con più chiarezza come si comporteranno in futuro, come decideranno i tassi. Non piace l’idea di una politica monetaria “dipendente dai dati”, come dicono sia la Fed che la Bce, cioè decisa di riunione in riunione, a seconda di come va la congiuntura e di come viene interpretata. Sembra “l’arte del banchiere centrale”, una cosa effimera e potenzialmente instabile, anziché la sana tecnica della politica monetaria ben regolata. La lamentela è condivisibile, perché chiede una politica monetaria più prevedibile e perciò più adatta a creare un clima di stabilità, senza sorprendere i mercati spostandone bruscamente i prezzi.

(foto: fondo monetario)

Il mestiere degli altri

Ma oggi le banche centrali stanno impegnandosi nello sforzo straordinario di rientrare da tanti anni di quasi continua espansione monetaria, con i tassi nulli o addirittura negativi, e una montagna di liquidità, creata anche comprando grandi quantità di titoli emessi da imprese e, soprattutto, dai governi. In questo lungo periodo, le politiche monetarie hanno preteso di fare anche il mestiere degli altri, delle politiche fiscali e industriali nonché delle attività produttive e commerciali in concorrenza sui mercati: hanno preteso di sostenere durevolmente la crescita reale, il che esula sia dai loro compiti che dalle loro vere possibilità. Inoltre, hanno finanziato con larghezza le esigenze dei governi sempre più indebitati. Tutto ciò ha creato le condizioni per l’accendersi di un’inflazione piuttosto impetuosa, che le banche centrali hanno sottovalutato e previsto transitoria, di breve durata.

Un’acrobazia straordinaria

Quando si son decise a combatterla sul serio si son trovate sbilanciate, molto fuori dal sentiero di stabilità, con i tassi a zero o negativi e una liquidità in eccesso che è complesso estirpare dai mercati. Dobbiamo dunque considerare la manovra in corso come un’acrobazia difficile e straordinaria. È più che comprensibile che debbano muoversi di volta in volta, guardando a come le cose vanno aggiustandosi, interpretando le scosse che i sistemi economici subiscono durante l’aggiustamento, cercando di rimettere ordine facendo meno danni possibile.

(foto: ecofin)

Regole più flessibili

Detto ciò, non dovremmo rimanere per sempre con la politica monetaria imprevedibile e legata ai dati di mese in mese. Quando le deviazioni eccezionali dalla strada normale saranno rientrate, l’inflazione battuta, i tassi e la liquidità normalizzati, le banche centrali dovranno trovare il modo di promettere di non far più politiche esagerate. Sarà allora opportuno riformulare le loro strategie vincolandosi, ad esempio, a seguire una regola nel fissare i tassi, che non li porti a livelli dai quali poi occorre rientrare con manovre violente. Servirebbe una regola flessibile ma tale da muovere i tassi con molta gradualità quando l’inflazione e la crescita cominciano a deviare dagli obiettivi. Potrebbe essere opportuno che le banche centrali si autoimpongano, dichiarandolo, qualche limite a quegli acquisti di titoli che, con il quantitative easing, hanno rigonfiato i loro bilanci e la liquidità dell’economia.

 

Per approfondire:

Istituto per gli studi di politica internazionale

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