Doppio scollamento

Una nota dell’Istituto di studi sulle relazioni industriali e di lavoro (ISRIL), titolava: L’ Italia non cresce perchè invecchia e si spopola. Un’ affermazione che non smentisce il suo contrario, ovvero che l‘Italia si spopola e invecchia perché non cresce. Verità, apparentemente inconciliabili che possono convivere, entrambe legittime se lette esplicitando una necessaria e opportuna sequenza: un rapido declino del tasso di natalità incide certamente sulla crescita. Parimenti, una persistente carenza della crescita, è una spinta verso lo spopolamento (denatalità, emigrazione, ecc.). Per far fronte alla realtà dei fatti il problema è individuare quale sia l’ordine sequenziale appropriato. E per l’Italia ritengo che non sia difficile stabilire che la sequenza parte dalla crescita e dallo sviluppo specie se si tiene in conto la nostra storica peculiarità di Paese, da sempre segnato da un ostinato dualismo.

Sul perché il Paese non cresca non basta certo celebrare lo sterile rito che invoca salvifiche “riforme” alle quali affidare una più o meno straordinaria manutenzione. Non sarà certo questo a rimettere in corsa una macchina che potremmo – benevolmente – definire d’epoca: un contenitore sconnesso nel quale si convive senza che i territori si parlino e che, anzi, oggi sembra anche voler conferire autonomie differenziate aderendo alle richieste di alcune regioni.

A rischio anche il Nord

Andando al sodo, per uscire dalla trappola – ci piaccia o meno – sarebbe invece urgente affrontare con un’ottica di sistema il tema   Nord – Sud messo in soffitta nel 1992, esattamente trent’ anni fa, con esiti disastrosi per il Nord e per il Sud.

Di questo a ben vedere parla il PNRR messo in piedi dall’ UE che con non sospetta sollecitudine stanzia oltre 200 mld di euro condizionati a ridurre i divari territoriali e a rafforzare la coesione sociale.

L’ Unione ha evidentemente letto con fredda precisione – e con giustificata preoccupazione – l’ impressionante dinamica dei divari, anzi del doppio divario: quello storico Nord-Sud, drammaticamente in crescita dalla fine degli Anni ’90 (figura 1), e quello tra Nord e Sud e  l’Unione a 28 (tabella 1), che segna una ancor più drammatica crescita e che fa balenare in concreto il rischio prossimo venturo che tutto il Paese – “locomotive” comprese – sia affidato alle cure della sedicente politica di coesione.

Basta leggere con uno sguardo laico i dati riportati in poche tabelle e grafici.

Tutti i nodi al pettine

Negli anni successivi il Dopoguerra, durante i quali il reddito pro-capite del Sud ha recuperato significativo terreno, dall’ inizio degli Anni ’90 si è avviata l’involuzione che riporta oggi il divario Nord-Sud  ai livelli molto prossimi agli iniziali valori degli Anni ’50 (Figura 1). La successiva Tabella 1 illustra la novità del “secondo divario”, in crescita rispetto al valore della media UE a 28 ed evidenzia quanto esso sia rilevante nei confronti di alcuni Paesi partner dell’ Unione.
La Tabella 2, invece, è un pro-memoria sulla cronologia di lungo periodo della dinamica complessiva del Sistema Italia che passa dalla significativa dinamica positiva al progressivo rallentamento, fino a fermarsi, cumulando una distanza crescente dall’ Europa dovuta alla nostra incapacità di tenere il passo. Un rallentamento che coinvolge tutte le regioni del Paese (Tabella 3).

La novità del “doppio divario” è un fenomeno di lungo periodo che si manifesta con una più intensa perdita di posizioni in Europa delle nostre Regioni Locomotiva del Nord a fronte di una più ridotta perdita di posizioni nella classifica di quelle del Sud, spiegabile non tanto per loro particolari virtù quanto per il fatto che queste, già in partenza, occupavano le posizioni di coda tra le oltre duecento Regioni dell’UE a 28.

La critica condizione del Paese è evidenziata dall’ illustrazione dei suoi tassi di crescita che tendono a smorzarsi fino ad annullarsi dopo il 2011 e che nel 2019, alla vigilia del terribile biennio della Pandemia, non erano ancora arrivati ai livelli raggiunti nel 2007, alla vigilia della crisi del 2008. Nell’area Ue, un andamento così negativo del Pil è condiviso solo dalla Grecia. Da considerare, poi, che per effetto del Coovid19 nel biennio 2020-2021 (crollo e forte reazione del PIL allo shock), la distanza per recuperare il livello del Prodotto interno lordo del 2018 è aumentata sia al Nord che – e in misura molto consistente – al Sud.

Figura 1

La negativa deriva delle condizioni dell’economia nel periodo 2001/ 2018, ha interessato tutte le regioni, dando evidenza strutturale a quel doppio divario Italia-Ue che si è aggiunto allo storico scollamento Nord-Sud e che oggi rappresenta la più significativa e negativa novità che investe il Sistema Italia.

Se consideriamo poi l’andamento del PIL pro capite in percentuale rispetto a quello dell’UE a 28 Paesi, nel periodo 2001-2018 esso flette continuamente, mentre il PIL pro capite, a parità di potere di acquisto, si riduce in assoluto di oltre mille euro.

Occupazione lontana dalla media Ue

Sul fronte del mercato del lavoro il tasso di occupazione nazionale è molto lontano dalle medie europee. La dinamica dell’occupazione è infatti negativa con una quota di “lavoratori poveri” (gli occupati che percepiscono un reddito annuo da lavoro inferiore a 11.500€), che coinvolge il 12% della Forza lavoro.

Infine il rischio di povertà assoluta coinvolge quote di popolazione molto rilevanti con valori che al Sud sono un multiplo di quelli del Centro-Nord.

Tabella 4 dualismo demografico ed eutanasia della Questione Meridionale

Il più che ventennale quasi-disastro italiano richiede pochi commenti ai numeri e il tema del “doppio divario”, quasi non riguardasse le regioni del Centro-Nord, è oggetto di silenziosa elusione più che di attenzione.

I problematici numeri dell’economia trovano riscontro in quelli della demografia (tabella 4) che dal 2011 hanno indotto la SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, a segnalare un vero e proprio tsunami demografico, gli effetti del quale mettono in allarme sia l’Istat sia la Banca d’ Italia.

2070, Pil a rischio

Con 5 milioni di abitanti in meno (numero che secondo l’Istat salirà a 7 nel 2070), nel 2065 il Mezzogiorno sarà l’area più vecchia, povera e necessariamente bisognosa di assistenza del Paese.

Queste previsioni scontano l’effetto spinta che alimenta da anni una migrazione dal Sud estremamente selettiva, che investe un capitale umano giovane e tendenzialmente con una qualificazione medio-alta. Un trend che, se non adeguatamente e tempestivamente contrastato impatterà negativamente sul Prodotto interno lordo. La Banca d’ Italia prevede che nel 2070, ai parametri attuali, si registrerà un calo del PIL del 40% al Sud e di oltre il 20% al Centro Nord. Con questa drastica contrazione l’Italia rischia i tornare al rango di “espressione geografica”.

L’emigrazione giovanile pesa al Sud

L’ interazione in atto tra demografia ed economia prospetta con la perdita di ruolo e funzione del sistema Italia nell’ Unione anche la dissoluzione, per eutanasia, della storica Questione Meridionale.

La trasformazione del meridione nella parte più vecchia e dipendente del Paese, consolida la narrazione di un Sud assistito, improduttivo; una self-fuflfilling prophecy che invece di imporre una riflessione sul Sistema Italia (quella che l’Unione ci chiede con le sue secche condizionalità), paradossalmente rafforza l’anelito a liberarsi “dalla palla al piede meridionale”. Non è un processo alle intenzioni ricondurre a questo intento l’insistenza con la quale il lombardo-veneto e altri puntano a risolvere “per parti” la crisi italiana rivendicando l’autonomia che accampa di fatto diritti alla “restituzione” di illusori e inesistenti residui fiscali.

La dimensione demografica delle vicende in atto è un aspetto della crisi strutturale di sistema particolarmente rilevante. Rispetto al passato remoto degli Anni ’50 e ’60, il crollo della fertilità al Sud e la ripresa di flussi migratori fortemente selettivi rischia in breve di scardinare la fisiologia della piramide della popolazione. In assenza di un rallentamento del fenomeno e di adeguati flussi compensativi di immigrati, peraltro restii a scegliere il Sud come terra di insediamento, procede un’inesorabile transizione che mette fortemente in sofferenza le regioni meridionali. La migrazione selettiva di oggi riguarda soprattutto le classi giovanili e in particolare la sua componente più formata è accompagnata da un flusso di risorse che le famiglie d’origine conferiscono: sono le “rimesse a sostegno degli emigrati”, che inverte la tradizione degli anni Cinquanta e Sessanta quando le cospicue “rimesse degli emigrati” rappresentavano un significativo apporto ai redditi dei residenti rimasti nelle zone dalle quali era partita la forza lavoro emigrata.

La particolare selettività che caratterizza la ripresa dell’emigrazione dal Sud arricchisce perciò la lista dei divari con la specificità marcatamente territoriale del ” divario generazionale”: un “divario nel divario” identificato come “spread sociale” che incide in modo particolarmente intenso sullo stock di capitale umano del Sud e impoverisce il patrimonio di chi resta, specie di quella quota di residenti che per dare opportunità a chi emigra può permettersi “il lusso” di impoverirsi.

La sommatoria di questi processi in atto apre prospettive non particolarmente remote nel tempo che configurano un preoccupante ridimensionamento complessivo del Sistema Italia con l’eutanasia della Questione Meridionale, incautamente salutata come la liberazione dalla palla al piede.

I fondi per la Rinascita

L’ uso dei fondi del NextGenerationEU è da indirizzare all’ obiettivo della Rinascita non della Ripresa e tantomeno della Resilienza.

Per contrattare queste tendenze è assolutamente necessario definire una priorità strategica di interventi con la finalità di allocare le risorse per strutturare un piano del lavoro teso a colmare l’enorme deficit infrastrutture che divide il Paese: reti stradali, ferrovie veloci, regionali, nazionali essenziali, per mettere a sistema un territorio oggi frantumato con aree costiere, porti e aree interne reciprocamente inaccessibili, non competitive e attrattive.

Cullarsi nell’ illusione di un destino mitteleuropeo ha consentito un deficit di infrastrutture, materiali e immateriali, specie di tipo logistico cresciuto a dismisura nell’ arco di venti anni, che ha disarticolato il territorio, ha ostacolato lo sviluppo imprenditoriale e industriale, ha pregiudicando – in particolare – la funzionalità dei  porti del Sud nonostante la loro posizione ideale per consentire al Paese di fruire dell’ enorme sviluppo dei traffici che alimenta la centralità del Mediterraneo.

Serve una strategia logistica

Il mutamento di fase che oggi si manifesta richiede di dare la massima priorità a una strategia logistica-intermodale, i cui tratti resi ancor più chiari di ieri per effetto della pandemia prima, poi della guerra, del  re-shoring e dell’ accorciamento delle “catene del valore”, condizionano le multidimensionali emergenze della “transizione”, imponendo l’assoluta centralità della dimensione mediterranea che, dalla prospettiva finora prevalente di mare di transito, si pone  come area di scambio al servizio delle economie che su di esso insistono,  dove una demografia giovanissima e il rapido incremento dei mercati a più intenso sviluppo,  si confronta con le economie mature ad alta tecnologia, industrializzate del più ricco mercato mondiale.

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