Fino all’ultimo insulto

Toni incandescenti e milioni di dollari. Populisti contro democratici. E un sistema elettorale che assomiglia a una roulette. La campagna elettorale negli Usa s’infiamma, ma non convince l’elettorato, che a novembre eleggerà il presidente per il prossimo quadriennio. Una scelta, quella tra Biden e Trump, gravida di conseguenze, per gli stessi Stati Uniti e per gli equilibri geopolitici mondiali.

Tra spot elettorali e raccolta fondi, si scaldano i motori. «Se hai votato per Nikki Haley, Donald Trump non vuole il tuo voto. Salva l’America, unisciti a noi». Così, uno spot lanciato online a fine marzo dai sostenitori di Joe Biden invitava i repubblicani “moderati”, che alle primarie avevano votato per l’ex ambasciatrice all’Onu, a “saltare il fosso”, per così dire, e votare per il presidente democratico uscente. Appello piuttosto “spericolato”, sintomo evidente che la battaglia per la presidenza si sta facendo sempre più estrema e forse anche un po’ “disperata”.

Per parte sua, Donald Trump ha invece iniziato a tempestare i suoi sostenitori di sms e e-mail per spronarli a donare più soldi per la sua campagna elettorale, e, citando la raccolta fondi del suo rivale, organizzata insieme a Barack Obama e Bill Clinton, a New York, sempre a fine marzo, ha usato toni non proprio “morbidi”: «Obama ti odia», «Non permettere a Obama di sputarti in faccia». Ancora, «Mirano a umiliarci» e «Si scatenerà l’inferno». Toni che pare lo abbiano ripagato, se è vero che, nel corso una cena elettorale di aprile, organizzata dal milionario manager di hedge fund John Paulson, Trump ha raccolto 50 milioni di dollari (quella di Biden si è fermata a 26 milioni, anche se, complessivamente, l’inquilino della Casa Bianca ha finora raggranellato oltre 70 milioni in totale).

Insomma, se Biden raccoglie endorsement di famosi “porta voto” (oltre a quello degli ex presidenti, da segnalare quello di Taylor Swift, la cantante e attrice da oltre 270 milioni di follower sui social, cosa non trascurabile, se pensiamo che, nel 2008, l’endorsement della anchorwoman Ophra Winfrey dirottò su Barack Obama almeno un milione di voti da parte di elettori indecisi), Trump raccoglie quattrini.

Populismo vs Democrazia

L’asprezza delle varie dichiarazioni, la battaglia per la raccolta fino all’ultimo centesimo indicano la tensione che percorre gli Stati Uniti per questa campagna elettorale. Del resto, tutti gli osservatori sono concordi nel qualificare la sfida Biden – Trump come “epocale”. Forse mai, nella storia degli Stati Uniti, si erano presentati all’elettorato due sfidanti dalle caratteristiche così estremamente opposte. Tanto che si parla ormai correntemente di una sfida tra Populismo (Trump) e Democrazia (Biden). Mentre qualcuno, con riferimento al profilo più “personale” dei due contendenti, ha addirittura parlato di un duello tra “un rincoglionito (Biden) e un delinquente (Trump)” – copyright Marco Travaglio -. Forse la sintesi del direttore de “Il Fatto quotidiano” può sembrare particolarmente cruda, irriverente (ma fu lo stesso Trump a coniare, per Biden, il nickname di “Sleepy Joe”, più o meno Joe il rimbambito), ma non è molto lontana dai giudizi che, magari più velatamente, esprimono molti osservatori e addetti ai lavori. Per dirla tutta, nessuno dei due contendenti raccoglie il pieno apprezzamento degli elettori, persino tra quelli di riferimento. L’età di Biden sconcerta molti democratici e liberali. L’estremismo di Trump preoccupa persino alcuni tra i più tradizionalisti e conservatori elettori repubblicani.

La roulette americana

Senza considerare i complicati meccanismi elettorali statunitensi, che il politologo Roberto D’Alimonte, su “Il Sole 24 Ore” (2 aprile) ha potuto qualificare come una sorta di “roulette”, poiché se è vero che, almeno negli ultimi trent’anni, democratici e repubblicani «hanno messo solide radici in zone diverse del Paese» (sostanzialmente, i democratici la fanno da padrone negli Stati della costa occidentale e del Nord-Est, i secondi fortissimi al Sud e tra il fiume Mississippi e la costa orientale, con qualche piccola variazione, a cominciare dal cuore industriale USA), si può dire che la grande maggioranza dei collegi non è, di fatto, “contendibile”.

Ma poi ci sono casi ulteriormente complicati, come i collegi degli Stati del Midwest, dove il voto delle classi operaie e lavoratrici, un po’ come è avvenuto in Europa, a causa della globalizzazione e delle conseguenze occupazionali della rivoluzione digitale, si sta progressivamente spostando a destra, e poi ancora i cosiddetti Stati “ballerini” (Swing States, o anche Battleground States). Considerata questa complessità, D’Alimonte ha calcolato che salvo clamorosi “smottamenti”, «Biden può contare su 232 voti all’interno del collegio elettorale contro i 219 di Trump». Ma restano, appunto, altri 87 voti da assegnare in altri sei Stati (Arizona, North Carolina, Georgia, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin), e qui, sostiene un recente sondaggio del “Wall Street Journal”, Trump sarebbe in vantaggio.

Il pericolo Trump

Se anche Biden dovesse vincere, è l’amaro commento finale di D’Alimonte, resta il fatto, inquietante, che Trump, nonostante tutto, avrà comunque raccolto alcune decine di milioni di voti.  Se poi dovesse vincere, è il parere pressoché unanime della comunità “liberal” americana e internazionale, sarebbe una vera tragedia. Il “New York Times” lo ha detto senza mezzi termini: un secondo mandato Trump sarebbe una vera e propria disgrazia per gli Stati Uniti e per il mondo intero. La sua storia imprenditoriale, prima, e quella politica, poi, ne avrebbero evidenziato un carattere e un temperamento assolutamente incompatibili con un’altra carica presidenziale. «Come presidente» ha scritto il giornale americano senza giri di parole «ha esercitato il potere con noncuranza e spesso con crudeltà, mettendo il suo ego e le sue esigenze personali al di sopra degli interessi del Paese. Ora, mentre è di nuovo in campagna elettorale, i suoi peggiori impulsi (…)  rimangono più forti che mai, anzi si stanno intensificando».

A preoccupare è poi l’agenda degli affari esteri: se già durante la sua presidenza, Trump aveva ripetutamente elogiato leader autocratici come Xi Jinping, Vladimir Putin e Kim Jong, mostrando se non un disprezzo almeno un inequivocabile distacco verso gli alleati democratici, minacciando persino di lasciare la NATO, il prossimo futuro non sembra più incoraggiante. Donald Trump non nasconde l’intenzione di abbandonare l’Ucraina al suo destino (russo), cosa che potrebbe incoraggiare altri leader «che governano con il pugno di ferro in Ungheria, Israele (Trump ha più volte sottolineato di essere un ferreo sostenitore dello Stato ebraico e del suo leader), India ad affrontare una pressione morale o democratica molto minore». Cosa che, sottolinea il NYT, comporterebbe seri pericoli non solo per gli USA, ma per il mondo intero.

Una questione anagrafica?

All’opposto, il democratico Joe Biden garantirebbe una indubbia continuità nella stabilità. Il presidente uscente può vantare buoni, e riconosciuti, risultati: durante la sua amministrazione, l’economia ha aggiunto 12,6 milioni di posti di lavoro, l’inflazione si è raffreddata e sono state firmate leggi significative per combattere il cambiamento climatico, migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria e così via. In politica estera, con Biden, gli USA si sono opposti allo strapotere russo sostenendo l’Ucraina e radunando l’intero Occidente al loro fianco. Per non dire dell’impegno per la pace tra Israele e Palestina, culminato con lo “strappo” in sede ONU dello scorso mese di marzo, mossa che – va detto – seppure dettata più da esigenze elettorali (recuperare il consenso dei giovani, degli islamici e delle minoranze etniche sempre più schierati a fianco della causa palestinese) che non da una profonda convinzione, potrebbe comunque rivelarsi molto importante per ristabilire la pace nel – nostro – vicino Medio Oriente.

Ma per Biden si pone un altro problema: quello dell’età avanzata. Sarebbe la persona più anziana ad aver ricoperto la carica di Presidente e la più anziana a essersi ricandidata e, in caso di successo, avrebbe 86 anni alla fine del suo mandato. Non solo i suoi avversari, ma anche molti tra i suoi sostenitori hanno espresso, e continuano a esprimere, perplessità sulla capacità di Biden di servire per altri cinque anni gli Stati Uniti proprio a causa dell’età. Un sondaggio del 2023 dell’“Associated Press” aveva per esempio rivelato che solo il 47% degli elettori democratici avrebbe voluto Biden alle primarie. E sembra difficile, a meno di una improbabile combinazione di prestazioni e completa franchezza, che gli elettori possano cambiare idea.

Make Europe Great Again?

La vittoria di Biden o di Trump, come accennato, non avrebbe solo pesanti conseguenze “domestiche”, ma inciderebbe molto pesantemente sugli equilibri geopolitici mondiali, e, naturalmente, europei. E qui si innestano diverse visioni. In casa democratica si sta per esempio seriamente pensando di affiancare a Biden un vicepresidente di talento (quello che non è stata la deludente Kamala Harris, per intenderci), in grado di irrobustire una rete di relazioni adeguata ad affrontare un mandato cruciale per gli equilibri mondiali e, in caso di “declino” accelerato del presidente, garantire la piena continuità. Sul versante Trump, le idee sulla politica internazionale americana, come accennato, sono del tutto chiare. Di fronte a una vittoria di Trump, tuttavia, non tutti sono totalmente pessimisti.  Diversi osservatori, per esempio, ritengono che, al di là del trauma iniziale, la rielezione del “Tycoon” americano potrebbe rivelarsi in qualche modo uno “schiaffo salutare” per gli alleati storici degli USA, Europa in primis. Un’America isolazionista e populista, è il ragionamento, potrebbe “costringere” gli alleati, e appunto l’Europa, a darsi una dimensione geopolitica di maggiore autonomia – e peso specifico -, per evitare che un potenziale “vuoto” geostrategico possa venire colmato da altri protagonisti, nella fattispecie i Paesi più autocrati, e, dunque, meno democratici. Se guardiamo alle divisioni – politiche, culturali, economiche – che ancora caratterizzano l’Unione Europea, tutto questo sembra, a oggi, una pia illusione. Ma la storia ci ha abituato alle cose più imprevedibili. La stessa rielezione di Trump ne sarebbe l’ennesima dimostrazione.

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