Il valore delle politiche sociali

Avere servizi sociali efficienti sarà sempre più importante in futuro. Non solo per affrontare la sfida dell’inverno demografico in termini di disponibilità di forza lavoro. Ma anche di produttività e dunque di competitività del Paese. E anche se in Italia i tempi non sono ancora maturi per investimenti sistemici di questo tipo resta importante alimentare il più possibile il dibattito pubblico per stimolare un cambiamento indispensabile e favorire l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.

In Italia è molto raro che, nella dialettica tra il mondo produttivo e istituzioni, le Politiche sociali vengano inserite nella lista delle priorità da affrontare.

Eppure, questo tema dovrebbe interessare tutte le aziende a livello di sistema, e non solo le più grandi: politiche sociali pubbliche vuol dire infatti asili, centri estivi, voucher per baby sitter, doposcuola, assistenza domiciliare e residenziale ecc. Tutti servizi di cura indispensabili non solo per le dinamiche di conciliazione vita-lavoro, ma anche come sostegno indiretto ai bassi salari e al potere di acquisto delle famiglie.

Le Politiche sociali sono inoltre destinate a diventare sempre più importanti in futuro, dal momento che tra pochi anni saranno indispensabili per affrontare la sfida dell’inverno demografico in termini di disponibilità di forza lavoro, di produttività e dunque di competitività del Paese.

Le ultime previsioni dell’Istat dicono infatti che nel 2050 gli over 65 saranno 20 milioni (attualmente sono 13) mentre gli over 85 aumenteranno da 1,8 milioni a 4.

Questo dato, combinato con la denatalità e la fuga dei giovani all’estero, avrà un impatto negativo sulla forza lavoro, che si ridurrà sempre di più. Si prevede infatti che già nel 2041 mancheranno all’appello 3,6 milioni di occupati[1].

Centrale il ruolo delle donne 

Va da sé che lavoratori e lavoratrici saranno sempre più sotto pressione sul fronte della cura di anziani e bambini con un crescente bisogno di servizi e di politiche sociali adeguate.

Sarà però una crisi di cura talmente forte da diventare un problema anche per la produttività delle aziende, che dovranno allora farsene carico, anche nel confronto con le Istituzioni, per costruire un sistema di Politiche sociali realmente efficace.

Il modello di “Welfare familista” sul quale si è appoggiato il nostro sistema produttivo per decenni non sarà infatti più in grado di assorbire e soddisfare i nuovi bisogni di cura che emergeranno.

In questa rimodulazione delle politiche sociali il ruolo delle donne sarà inoltre centrale, poiché sono proprio loro le protagoniste indiscusse del Welfare familista.

Basti ricordare che, in base ai dati Istat, le ore di lavoro non retribuito che le donne nel complesso, sia occupate che non, prestano per le attività familiari, domestiche e di volontariato sono 50,7 miliardi all’anno, contro i 20,6 miliardi di ore degli uomini e che il 60,4% dei bambini sotto i 2 anni è affidato ancora oggi ai nonni, soprattutto alle nonne, quando i genitori sono al lavoro.

Allo stesso tempo, le donne, proprio perché fino a oggi così impegnate nel lavoro familiare, rappresentano anche un importante bacino occupazionale con importanti margini di crescita, considerandone la bassa partecipazione al mercato del lavoro, largamente al di sotto della media europea. Un dato, questo, di sicuro importante anche per le aziende rispetto alle prospettive di carenza di forza lavoro dei prossimi anni.

Certamente il welfare familista rappresenta una vera matrice identitaria del nostro paese che ha pochi eguali nel mondo occidentale ed è tuttora il retaggio culturale di una società che per secoli ha dovuto a fare a meno dello Stato e ha contato quasi esclusivamente sulla famiglia per la cura delle persone.

Questo sistema è però anche un fattore di diseguaglianza sociale (ed economica!) verso chi non ha a disposizione alcun supporto familiare e rappresenta un freno all’occupazione femminile.

Inoltre, limita la crescita del ruolo dello Stato nelle politiche sociali e per la famiglia poiché predilige il welfare previdenziale ai servizi, lasciando che siano poi le famiglie a redistribuire risorse e cura al loro interno.

L’Italia è infatti in Europa tra i paesi che spendono meno per i servizi sociali per le famiglie, i minori e gli anziani, ma di più per le pensioni.

Il risultato è quindi un sottodimensionamento vistoso del nostro sistema di servizi sociali che non è in grado di rispondere a bisogni di conciliazione e di cura generali e finisce inevitabilmente con il restringere l’area di intervento, quando va bene, a bisogni della popolazione più fragile e in condizione di disagio economico e sociale.

 

Il carico della cura va distribuito

La crisi demografica, abbinata alle sfide del cambiamento climatico, avrà invece un impatto sistemico e metterà sempre più al centro dell’attenzione la cura delle persone, il cui carico dovrà essere redistribuito in modo più efficace tra famiglie, Stato, terzo settore e mondo produttivo, con un sistema di servizi ben strutturato e organizzato in grado di rispondere ai nuovi bisogni.

Bisognerà quindi investire in modo strutturale nel sostegno alle famiglie, in asili nido, centri estivi, contributi, voucher e assegni per la cura di bambini e anziani, strutture protette, assistenza domiciliare, congedi parentali: tutto diventerà indispensabile, per sostenere il costo e l’organizzazione della cura delle famiglie, e per consentire al sistema produttivo di mantenere la capacità attuale.

È tempo di agire

Una volta deciso che le politiche sociali sono centrali anche per il nostro sistema produttivo, e che vanno adeguatamente finanziate, almeno in linea con la media europea, non sarà a quel punto difficile il “come”. Da anni si conoscono e si studiano le esperienze degli altri Paesi più avanti dell’Italia in questo campo, basterà davvero prendere ispirazione e calare nella realtà italiana buone prassi che si sono già rivelate valide altrove. La denatalità, per esempio, non è un destino ineluttabile, se un paese come la Francia è riuscito a correggerla, grazie a un sistema efficiente di servizi, al punto da essere il paese più prolifico della UE.

Certo, a giudicare dal dibattito pubblico attuale si è più propensi a pensare invece a una ulteriore contrazione delle politiche sociali per le difficoltà dei conti pubblici e l’incombente politica di austerity che in parecchi hanno previsto a breve.

Anche se i tempi non sono quindi ancora maturi per investimenti sistemici di questo tipo, è però importante alimentare il più possibile il dibattito pubblico per stimolare un cambiamento nella percezione generale che vede le politiche sociali non come un costo pubblico mal digerito ma come una importante opportunità economica, produttiva e di  benessere per tutte e tutti.

 

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Giovanna Badalassi
Giovanna Badalassi
Ricercatrice indipendente esperta in valutazione, ricerca e analisi delle politiche di genere, del lavoro e di Welfare.

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