Sotto la toga, il chiodo

Quando lo si è conosciuto sgambettava ultratrentenne sui campi delle periferie milanesi e nel suo piccolo era fra i punti di riferimento di una compagine iscritta ai campionati di calcio aziendali, con tanto di posto riservato nello spogliatoio, marchiato a pennarello con la scritta: Gila – 9. Durante i giri di riscaldamento lo si sentiva però disquisire di Black Flag e Negazione: il che lo allontanava di parecchio dal tipico cliché del calciatore, benché in un quadro da (pen)ultima spiaggia dello sport. Questo per dire che il Gila – al secolo Claudio Gilardetti, 56 anni, uno che peraltro avrebbe avuto i classici piedi buoni – è personaggio eclettico ed è anche in virtù di tale versatilità innata che riesce a muoversi con successo in equilibrio fra due mondi in apparenza inconciliabili. Da un lato ci sono le aule di tribunale e lo studio nel centro di Sesto San Giovanni, alla periferia di Milano, ove in capo alla proverbiale gavetta svolge la sua professione di avvocato. Dall’altro le tavole dei palcoscenici di locali quali lo storico Bloom di Mezzago, Monza e Brianza, che ne ospitano le esibizioni come chitarrista degli Incudine.

Hardcore, il primo amore

Il genere è quello senza compromessi dello hardcore punk, storicamente legato all’antagonismo e sovente ai centri sociali autogestiti: da qui viene anche un nome di culto qual è quello dei Raw Power, cui gli Incudine hanno fatto da gruppo di spalla a immediato ridosso di quest’intervista. E per citare altri maestri del filone – gli Upset Noise – per Claudio Gilardetti l’hardcore è stato anche il primo amore. «L’attrazione fatale per il punk», ha detto a Il Libero Professionista Reloaded, «è scoccata quando fra 1977 e 1978 se ne iniziavano ad ascoltare e vedere i primi gruppi fra radio e televisione. Ne rimasi da subito folgorato. L’esigenza di approfondire la conoscenza del fenomeno con la spasmodica ricerca di materiali è sorta quindi spontanea e irrefrenabile. Quando finalmente attorno ai 13 anni mi è stato regalato un giradischi, poco alla volta ho cominciato a collezionare 33 e 45 giri. Una passione che coltivo ancora oggi con l’entusiasmo dei primi tempi». Quanto alla decisione di intraprendere il corso di laurea in Giurisprudenza all’università Degli Studi di Milano, la passione c’entra un po’ meno, almeno agli esordi. «È stata senz’altro meno naturale», ha ammesso, «e confesso che inizialmente si è trattato di una scelta compiuta più che altro procedendo per esclusione. Questo non significa che me ne sia pentito. Tutt’altro. Il lavoro mi affascina e poi, lavorare in proprio costituisce un indiscutibile valore aggiunto».

(Niente) Maschere

Agli Incudine, che hanno oggi alle spalle tre album fra vinili ed edizioni digitali, Gilardetti è giunto dopo aver militato nei Maze e in quei Furious Party, che debbono il loro nome a un leggendario EP dei toscani Cheetah Chrome Motherfuckers. Alcuni dei compagni di strada – il cantante Cesare Che Tondelli e il batterista Massimiliano Mox Cristadoro – Gilardetti li ha avuti accanto per buona parte del suo percorso.

E fra la toga e il chiodo le soluzioni di continuità sono solo parziali. «Fra l’avvocatura e il punk», ha spiegato, «avverto divergenze puramente esteriori e, per dir così, di contesto. Per il resto, non sento di dover indossare una maschera né durante i dibattimenti né sul palcoscenico o in studio. Sono sempre io, con la mia personalità e individualità. Certamente, in udienza è spesso difficile conservare un contegno adeguato senza lasciarsi andare alle emozioni, senza farsene trascinare. Tuttavia, ritengo che questo esercizio mi abbia col tempo completato rendendomi migliore». Dopodiché, il codice del Gila prevede anche il ricorso a qualche accorgimento e cautela. «A dire il vero», ha riflettuto, «questa è la prima volta che mi capita di parlare pubblicamente della mia doppia identità. Nei riguardi dei clienti non ho interesse a pubblicizzarla, sia perché penso che abbia ben poco attinenza con la relazione, sia perché qualcuno potrebbe sospettare di essersi messo nelle mani di un autentico scellerato col cervello pieno di borchie. Diverso è il caso dei rapporti con altri musicisti, che conoscono la mia professione e non hanno mai manifestato reazioni degne di nota».

Un codice civile personale

Rimane il fatto che l’hardcore è appunto un’esperienza innegabilmente connessa a una determinata visione del mondo, della politica e della società in genere. L’aggettivo legale si applica agli Studi professionali, ma molto meno alla cultura del punk e Claudio Gilardetti se ne rende perfettamente conto. «È vero: i due ambiti», ha detto, «sembrerebbero irrimediabilmente distanti, ma nella mia carriera e nell’esistenza ho sempre cercato di pensare con la mia testa tentando di cogliere il meglio da ogni situazione, secondo il mio personale punto di vista. Rifuggo da ogni forma di integralismo di facciata o dalla presunta necessità di dover seguire a ogni costo un determinato modello. La coerenza si esprime a mio avviso nel tentativo costante di scegliere quel che è giusto e migliore in base ai miei principi e alle mie convinzioni. Non è facile, ma è un punto fermo al quale non intendo derogare: in troppi si vendono alla prima occasione e non offrono certo di sé un bello spettacolo». Mantenersi fedeli alla linea non è semplice; complicato è anche arginare in aula lo spirto guerrier che ruggisce nel cuore di un musicista che predilige le sonorità e i testi aggressivi ed estremi. «Contenere in tribunale l’impeto che sento dentro», ha concesso l’intervistato, «è talora davvero arduo. Mi è capitato per la troppa foga di essere richiamato all’ordine dal giudice di turno, quando era quasi impossibile attenuare l’emozione in circostanze che per gli assistiti erano molto delicate».

Doppio confronto

Si deve fare attenzione: «Un cervello annebbiato è nemico dell’efficacia e bisogna essere bravi a incanalare le energie per cogliere il risultato, tenendo presente che non vince chi urla più forte». Questione di preparazione, insomma, e nell’avvicinamento al processo o ai live il training cambia significativamente. «Nella nostra professione», ha concluso l’avvocato Claudio Gilardetti, «un meticoloso approfondimento dei casi è tutto, poiché consente di tutelare chi mi ha dato la sua fiducia – e oltretutto paga le mie parcelle – nel miglior modo possibile. Studio sino a quando non mi sento sufficientemente sicuro per acquisire la massima efficacia durante le udienze. Poi c’è la band e qui la musica cambia radicalmente, in tutti i sensi: il mio approccio è decisamente punk, piuttosto disinteressato. Penso sempre che il concerto andrà bene e se andasse male… beh: chissenefrega!».

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