Marco Polo, uno di noi

A 700 anni dalla scomparsa del leggendario mercante e viaggiatore veneziano, avvenuta nel 1324, la sua città  è pronta a celebrarlo con una serie di eventi e mostre. Oggi, la lettura de Il Milione induce a una riflessione sulla figura del suo autore, così lontana nel tempo, ma tuttora incredibilmente moderna e somigliante a ciò che tutti noi dovremmo essere nel nostro tempo. Dei rispettosi cittadini del mondo.

Ricordi della scuola elementare. La maestra racconta di un mercante, nato a Venezia tanti secoli fa, che ha viaggiato in terre lontane, fino ad arrivare in Cina, che allora era conosciuta come il Catai. E’ un termine che, chissà perché, non ci scorderemo mai più, così come non ci scorderemo l’illustrazione sul libro di lettura che ritraeva questo personaggio rinchiuso in una prigione, intento a raccontare una storia al suo compagno di cella, il quale trascriveva le tante diavolerie che uscivano dalla bocca di quello strambo veneziano. Probabilmente, da quel momento, tanti di noi non hanno più avuto modo di approfondire le vicende di  Marco Polo e del narratore delle sue storie, Rustichello da Pisa.

Genesi e fortuna de Il Milione

I due avevano condiviso lo stesso destino di prigionieri di guerra nel carcere genovese di Palazzo San Giorgio. Erano i tempi delle repubbliche marinare, e il pisano Rustichello, scrittore di romanzi cavallereschi, era finito lì in seguito alla battaglia della Meloria (1284), mentre Marco lo raggiungeva quattordici anni più tardi, dopo che i genovesi avevano incenerito, quasi del tutto, la flotta della Serenissima nella battaglia di Curzola (1298), lungo le coste dalmate. Tutto il comando veneziano fu deportato a Genova con i ceppi ai polsi, compreso il Polo, che aveva partecipato alla battaglia col titolo di comandante di galea. Evidentemente le giornate trascorrevano lente là dentro e ad un certo punto Marco cominciò a riportare a Rustichello i ricordi di quelle lunghe peregrinazioni in Asia, in compagnia del padre Niccolò e dello zio Matteo. Un lunghissimo viaggio, che li aveva portati alla corte di Kublai, Gran Khan dei Mongoli e nipote del terribile Gengis Khan, al comando del più vasto impero d’Oriente. Rimasero lontani da Venezia per ventiquattro anni.

Rustichello trascrisse i racconti di Marco in lingua d’oïl, il francese antico, che era l’idioma utilizzato all’epoca nella composizione dei romanzi cavallereschi. Il titolo originale dell’opera era “Le Divisament du Monde, Livre des merveilles du Monde”, diventato poi Il Milione – o semplicemente Milione – solo intorno a metà del ‘500 , per mano del geografo e scrittore veneto Giovanni Battista Ramusio, autore di una gigantesca raccolta di letteratura di viaggio, conosciuta come “Delle navigationi et viaggi”. Il manoscritto originale di Rustichello è andato perduto, ma le vicissitudini di Marco in Oriente conobbero da subito un grande successo, tanto che si conoscono oggi circa centocinquanta trascrizioni su codici di epoca medievale, in diverse lingue, tra cui il latino, il toscano e il veneto. Lo studio di Marco Polo ai nostri giorni continua ad essere una questione assai ardua e spesso divisiva. Il problema principale risiede nella difficoltà di trovare, tra fonti così lontane nel tempo, quelle che più si avvicinano all’originale, ovvero senza altri interventi di fantasia di altri autori. Da un altro lato, molti si interrogano su cosa realmente Marco vide con i propri occhi e cosa, invece, riportò come notizie di seconda mano. Il fatto che non abbia scritto di suo pugno il resoconto del suo lungo viaggio non deve farci dubitare sulle sue capacità di narratore. Marco fu un attento osservatore e – in generale – i mercanti erano abituati ad annotare luoghi, numeri, usi e costumi degli abitanti delle località visitate e tutto ciò che poteva essere utile per affrontare i viaggi successivi. In più, i mercanti veneziani, erano tenuti alla compilazione di una guida sintetica, chiamata Manuale di mercatura, da consegnare alle autorità cittadine al ritorno in laguna.

Prima di Marco, missionari e altri mercanti si erano spinti in terre lontane, fino a raggiungere le zone più remote e sconosciute dell’Asia, ma nessuno come lui si adoperò per produrre un racconto così preciso e affascinante. Il Milione è, a tutti gli effetti, la prima guida di viaggio ante litteram. Il rientro a Venezia dei Polo dopo oltre vent’anni cambiò le carte geografiche, nelle quali – per esempio – apparve per la prima volta il Cipangu, l’odierno Giappone. Non solo, ciò che Marco aveva visto e vissuto in Cina altro non era che la dimostrazione che, al di là di monti e deserti sconosciuti,  una civiltà più evoluta prosperava, lontano da quello che si credeva il centro del mondo, l’Europa.

L’avventura dei Polo in Oriente

Niccolò e Matteo Polo erano già stati in Cina durante un viaggio precedente. A metà del Duecento, Venezia aveva basi commerciali in tutto il Mediterraneo orientale e fino al Mar Nero. I Polo risiedettero per lunghi periodi a Costantinopoli e poi a Soldaia, in Crimea, dove gestivano le compravendite di merci che transitavano lungo la Via della Seta . Per una serie di coincidenze, erano giunti alla corte di Kublai Khan, che li aveva accolti con tutti gli onori. Il sovrano era interessato a tutto ciò che riguardava l’Europa e li aveva incaricati di portare una sua missiva al Papa. Dopo tanti anni, rientravano a casa con il prestigioso titolo di emissari di Kublai Khan, che aveva consegnato loro anche una paiza, una tavoletta d’oro di trenta centimetri, che costituiva una sorta di passaporto in tutto il regno mongolo, da mostrare all’occorrenza per ottenere vitto, alloggio, cavalli e ovviamente protezione. Quando giunsero a Venezia nel 1269, Niccolò scoprì che la moglie era morta dando alla luce suo figlio Marco, che oramai era un ragazzo.

Nel 1271, con un breve passaggio in Terrasanta per prelevare un po’ di olio del Santo Sepolcro da portare a Kublai (che voleva donarlo alla madre cristiana), Niccolò, Matteo e il giovane Marco partirono da San Giovanni d’Acri verso quell’intricata rete di strade con costituivano la Via della Seta meridionale. Per un viaggio del genere si impiegavano anni e lungo la strada i pericoli erano all’ordine del giorno, facendo allungare di molto i tempi di percorrenza stabiliti. Marco, intanto, annotava ogni cosa. Di ogni luogo visitato, descrisse minuziosamente la geografia, gli usi e costumi delle popolazioni, le religioni e le ricchezze naturali. Egli sarà il primo occidentale a descrivere i pozzi di petrolio, notati nei pressi del Monte Ararat, odierna Turchia. Li chiama “sorgenti di olio da ardere”, mentre a Mosul, in Iraq, rimase sorpreso dalla bellezza dei panni di seta e oro che gli artigiani producevano. Giunti sul Golfo Persico furono costretti a desistere dall’intenzione di continuare il viaggio via mare e dunque si diressero verso est via terra. Attraversato il terribile deserto salato di Kerman, Marco annotò le bellezze della città iraniana di Yads. La descrive come una città “molto bella e grande”, ma “il calore è tremendo e perciò le loro case sono costrutte con ventiere per catturare l’aria. Queste sono poste sul lato da cui soffia il vento, che portano nelle dimore a rinfrescarle”. Ancora oggi la città è piena di quelle torri del vento di cui Marco ci ha raccontato. A Tabriz, nel nord del paese, i Polo fanno affari nel grande bazar che raccoglie le merci provenienti da tutta l’Asia. Il giovane Polo rimane impressionato  dai colori dei tappeti e dalla fine gioielleria. L’Iran fu, inoltre, il Paese in cui Marco fece la conoscenza della religione degli Zoroastriani, che lui chiamò “adoratori del fuoco”. Nella montuosa regione del Badakhshan, in Afganistan, il viaggio dei tre veneziani si interruppe per un anno, a causa di una malattia di Marco. Il padre e lo zio ne approfittarono per fare affari da quelle parti, mentre lui colse l’occasione per imparare la lingua persiana (la lingua più diffusa in Asia a quel tempo) e quella dei mongoli. Una volta guarito Marco, i tre ripresero il cammino. Li aspettavano le montagne del Pamir, le più alte della Terra e il lungo e aspro Corridoio di Wahkan, che li avrebbe portati in Cina. Sugli altipiani Marco nota numerosi esemplari di una grossa pecora con le corna. Nel Milione Marco le descrive minuziosamente, tanto che in seguito prenderanno il suo nome (Ovis polii  o pecora di Marco Polo). Terminate le ultime propaggini del Pamir cinese, i tre attraversarono le cosiddette “regioni della giada”  e il temibile deserto del Gobi. Kashgar, Yarkand, Hotan sono luoghi remoti che gli europei riscopriranno solo dopo la seconda metà dell’Ottocento, mentre per i Polo fu l’occasione per conoscere popolazioni che vivevano in condizioni difficilissime, dove una natura soverchiante comandava le loro vite. Era la parte all’estremo nord ovest del Catai, stretta tra gli ottomila e i deserti dell’Asia centrale. A Tangut, infine, li aspettava una delegazione di Kublai, che avevano l’ordine di condurli da lui a Shangdu (o Xanadu), la sua residenza estiva. Era il 1275 ed erano passati quattro anni da quando avevano lasciato Venezia.

Kublai era l’imperatore di un territorio sterminato, che in parte occupava tutta la odierna Cina del nord, cioè il Catai, mentre – all’arrivo dei Polo – era ancora in atto la campagna per la sottomissione definitiva del Mangi, ovvero il territorio cinese a sud del Fiume Giallo. A ovest, il regno includeva i territori odierni di Tibet, Birmania e Corea, mentre al nord dominava fino alle porte dell’attuale Polonia. Un regno che superava per dimensione le terre conquistate da Alessandro Magno. Kublai rimase immediatamente stupefatto da Marco per la sua preparazione e per la sua profonda conoscenza dell’Oriente, compreso la sua lingua. Il veneziano rimase al servizio del Gran Khan per diciassette anni, arrivando a ricoprire cariche importanti. Come governatore di alcuni territori, compì numerosi viaggi nelle terre più lontane dalla corte imperiale, tutti descritti ne Il Milione. Alla fine, ne esce un ritratto preciso della società del tempo, con descrizioni degli stili di vita, alcuni  dei quali oggi possono apparire curiosi, in altri casi invece, si tratta di abitudini ancora in voga nel presente.  Anche quando per i tre Polo arriverà il tempo di tornare a casa, sempre per un incarico di Kublai che permetterà a loro di lasciare il Catai, il viaggio li condurrà per altre vie, questa volta sul mare. Raggiungeranno Ceylon, Sumatra e l’India, fino ad Hormuz, nel Golfo Persico. Da lì riprenderanno le vie di terra fino a Venezia. Tutto è annotato con precisione da Marco. Scopre, per esempio, l’uso del carbone, “la roccia che brucia”, gli allevamenti ittici, sconosciuti in Europa e rimane abbagliato dagli stupa dai tetti d’oro in Birmania. Durante il lungo viaggio, li raggiungerà la notizia della morte dell’anziano Kublai e gli impegni verso di lui decaddero definitivamente.

Giunti a Venezia, qualcuno faticò a riconoscerli, ma fu tanta la sorpresa per le merci che portavano con loro. Come le pietre preziose che i Polo, durante il pericoloso viaggio, avevano imparato ad occultare, cucendole all’interno dei loro abiti. E poi le morbidissime pelli di yak con le quali i Mongoli usavano vestirsi. Furono però i racconti di Marco a destare l’attenzione della città intera.  Sostenitori e detrattori de Il Milione alimentarono il dibattito sulla veridicità del racconto poliano  fin dal XVI secolo. Anche oggi, numerosi studiosi nel mondo discutono a colpi di ricerche scientifiche e nuovi libri,  ma rimane comunque un tema complesso per la lontananza nel tempo degli eventi e per la quantità di informazioni riportate da Marco. Al di fuori degli ambienti puramente accademici, menzioniamo il contributo di Michael Yamashita, storico fotografo e giornalista di National Geographic che verso la fine degli anni ’90, ha risposto ai dubbi di una delle più irriducibili detrattrici di Marco Polo, ovvero la sinologa inglese Frances Wood, che in un suo libro del 1996 spiegava perché, secondo lei, Marco Polo non giunse mai in Cina. Yamashita, su incarico di NG, ha ripercorso il tragitto dei Polo. Andata e ritorno, con una copia del Milione in valigia. Un viaggio, compiuto a più riprese, in cui Yamashita ha visitato e fotografato luoghi, di cui Marco aveva raccontato minuziosamente. Un corposo e affascinante reportage che in Italia è stato pubblicato in un libro uscito nel 2002. (Marco Polo, un fotografo sulle tracce del passato – Edizioni White Star). In forma di lungo saggio, invece, è l’approfondimento dal punto di vista storico di Marina Montesano (Marco Polo – Salerno Editrice), mentre, per quanto riguarda la lettura de Il Milione, va segnalata la riscrittura fedele in italiano corrente di Maria Bellonci, nell’edizione curata da Anna Maria Rimoaldi (Il Milione di Marco Polo” – Mondadori). Marco Polo muore a Venezia l’8 gennaio 1324. Una leggenda racconta che, sul suo letto di morte, abbia pronunciato queste parole: “Non ho raccontato la metà di quanto ho visto”. Marco, noi amanti del viaggio, della geografia dei luoghi e dei popoli, delle atmosfere magiche, ti crediamo.

Marco Polo 700 – 1324/2024

Venezia ha inaugurato in gennaio l’anno celebrativo per il settimo centenario della morte di Marco Polo. Al di là degli aspetti più conosciuti che girano attorno a questo personaggio a metà tra la leggenda e la storia, le celebrazioni saranno l’occasione per riscoprire il Marco viaggiatore e ambasciatore, per la sua città, quando partì appena diciassettenne, e al ritorno, per quel mondo misterioso, fino a quel momento solo immaginato dagli europei, dell’Oriente di Kublai e delle genti che aveva conosciuto durante il lungo viaggio.

Il calendario delle iniziative, è promosso dal Comune di Venezia, capofila del progetto, con la partecipazione della Fondazione Musei Civici di Venezia, dell’Università Ca’ Foscari, nonché di una serie di realtà associative presenti sul territorio, col sostegno del Ministero della Cultura. Numerose le collaborazioni con istituzioni culturali internazionali. Molti gli eventi ancora in via di definizione, da ricercare sul canale principale delle celebrazioni,  www.leviedimarcopolo.it , costantemente aggiornato. Mostre, eventi teatrali e cinematografici, gare sportive e convegni sono solo alcune delle iniziative in programma, con un filo diretto con la Cina, dove Marco è una superstar. Un’occasione per incrementare il dialogo culturale. Marco, cittadino del mondo, unisce ancora dopo 700 anni.

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