Dall’università al piccolo schermo

Definire Mario Tozzi non è un esercizio semplice. Per alcuni è un ricercatore, per altri un divulgatore e per altri ancora un giornalista o un insegnante. In realtà, il conosciuto volto Tv è un platonico secondo cui l’archetipo di “armonia mundi” ha dirette conseguenze sul nostro conoscere, pensare, agire. Personale e sociale. Per lui pensiero e perfino la politica sono articolazioni dell’ecologia (Mind Ecology, gran libro di Gregory Bateson), figurarsi il rapporto tra ricerca e divulgazione.

Dopo aver conseguito una laurea in Geologia presso l’Università di Roma, un dottorato di ricerca in Geologia Strutturale seguito dall’incarico di docente universitario, che è anche una scuola di autorappresentazione e “teatro”, Tozzi finisce sul piccolo schermo. Per caso. «Ho iniziato con il programma Geo&Geo nel 1996», racconta a Libero Professionista Reloaded. «Un mio amico etologo che collaborava con il format mi invitò a fare un giro in redazione. Lì mi accorsi che avevano tanto materiale sulla geologia, ma nessuno che lo potesse commentare. Così ho fatto la mie proposte che  sono piaciute, tanto da rimanere nello staff del programma per 8 anni». E’ iniziata così la sua storia di divulgatore scientifico. «Ormai sono 22 anni che conduco programmi di divulgazione in prima serata, sui canali Rai e La7». Tra questi l’ultima stagione di Sapiens, andata in onda su Rai3 tra novembre e dicembre 2023. I temi trattati sono i suoi: un continuum tra natura, cultura, storia. Come se tutto provenisse dalla stessa fonte. O almeno, la natura fosse in grado di guidarci in un sentiero armonico, anche dal punto di vista delle decisioni umane. «C’è sempre stato un intento “sociale” che mi ha guidato. Per me non c’è differenza tra conoscere e raccontare la conoscenza».

Il coraggio di prendere posizione

Quelle di Tozzi sono sempre state posizioni radicali, ma indubbiamente coerenti: pensiamo al tema del dissesto idrogeologico: «Bisogna fare un passo indietro dal luoghi pericolosi, per esempio ri-naturalizzare i fiumi, cosa che del resto si fa in tutt’Europa. La verità è che le opere servono in pochissimi casi. Servono a Genova, dove se non si realizza lo scolmatore la città corre davvero un forte rischio. Così come servono servono sul Seveso in Lombardia. Ma in generale un fiume più lo si lascia al suo corso, meno danni fa: lo si dovrebbe lasciare libero di esondare in zone dove non si è costruito. Il problema è che noi abbiamo costruito dappertutto, il nostro dramma è che siamo un Paese di montagna dove tutti sono convinti di vivere in pianura. E il contrappasso è che si leva il territorio alla natura e quella se lo sta riprendendo».

Le ricerche servono, sempre

Anche l’attività scientifica, secondo Tozzi, non è ideologizzabile, ha a che fare con la semplice ratio naturalis: «Pensiamo all’origine antropica dei cambiamenti climatici. Tra gli scienziati non ci sono dubbi, il 99% degli specialisti ritiene che rispetto al passato il cambiamento climatico sia accelerato e che questa accelerazione dipenda dall’uomo. Bisogna fidarsi degli specialisti». E a chi sostiene che ci sia il  rischio che anche la scienza diventi una sorta di dogma Tozzi risponde: «C’è il rischio contrario vedo che è diventata di moda una certa anti-scienza: negazionisti del cambiamento climatico, no vax, terrapiattisti. E vedo che questo deriva da un approccio ideologico, quindi manipolatorio, ai temi scientifici». La ricerca, insomma, anche se spesso viene finanziata in base a decisioni imprenditoriali e politiche, va ascoltata.  «Faccio solo un esempio: negli anni 80 le compagnie petrolifere finanziarono gli scienziati di punta per sapere che conseguenze avrebbe avuto l’uso dei combustibili fossili. La risposta fu che ci saremmo trovati l’anidride carbonica a 420 parti per milione nel decennio del 2020: esattamente quello che si sta verificando. Li avevano pagati per avere rassicurazioni e invece gli scienziati hanno detto un’altra cosa».

I limiti del sistema capitalistico

Vegetariano da 25 anni per ragioni ambientali, di salute, di etica «e anche per una ragione paleoantropologica», precisa. «I nostri antenati non erano carnivori, e noi abbiamo un intestino di nove metri e canini piccolissimi che non ci permetterebbero di mangiare carne se non cotta», Tozzi è però d’accordo con la coltivazione della carne in laboratorio anche se porta problemi contingenti alla produzione italiana:  «Certo, la carne coltivata scardina la filiera produttiva ancora legata ai macelli, ma è un enorme vantaggio ambientale, dato che da una cellula staminale si ricavano 10mila chili di carne, senza consumo di terra, di acqua, e senza danni ambientali che derivano dagli allevamenti, oltre che un vantaggio etico», afferma dichiarandosi anche moderatamente d’accordo con l’uso degli Ogm a patto che non riducano la biodiversità.

Insomma, secondo Tozzi, occorre rinunciare a certe logiche estreme del capitalismo: «I limiti di questo sistema economico non li ha messi in luce Carlo Marx, ma lo fa ogni giorno l’ambiente. I numeri contano più delle ideologie». Nella logica di Mario Tozzi tutto si tiene: l’”armonia mundi” c’è, ci guida. E se facciamo fesserie si ribella.

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