Nella seconda metà del Quattrocento, la rivoluzione innescata dal Rinascimento fiorentino si spandeva a macchia d’olio nelle altre regioni d’Italia, grazie a una folta generazione di artisti che inaugurava – forse – la stagione più straordinaria della storia dell’arte italiana. Gli echi di ciò che Brunelleschi, Donatello e Masaccio avevano iniziato a Firenze agli inizi del secolo, dirompevano non solo nelle più importanti città del Nord e del Centro Italia, ma anche nei piccoli centri di provincia, dove le nuove regole dell’arte si declinavano nelle scuole artistiche locali. Il fiorire delle corti e il mecenatismo di principi e duchi favorirono la circolazione dei nuovi linguaggi pittorici e gli artisti, spesso in viaggio tra una città e l’altra, lasciavano ogni volta tracce del loro passaggio. La straordinarietà di questo momento storico fu dunque il fiorire di stili regionali e di botteghe guidate da artisti che seppero acquisire le novità in campo artistico e ritrasmetterle rielaborate nel contesto locale. C’è tempo fino a metà giugno per visitare tre mostre in altrettante città italiane che approfondiscono questo periodo magico dell’arte nel nostro Paese. Vediamole insieme.
“Vittore Carpaccio, dipinti e disegni”
Era dal lontano 1963 che a Palazzo Ducale non si organizzava una monografica su uno degli artisti più illustri della città. La mostra nasce dalla collaborazione del Comune di Venezia e Fondazione Musei Civici di Venezia con la National Gallery of Art di Washington, dove si è tenuta la medesima esposizione dal 2 novembre scorso al 12 febbraio di quest’anno. La preziosa collaborazione con l’ente americano ha permesso di radunare a Venezia 42 dipinti e 28 disegni, di cui sei sono recto / verso. In totale sono 76 opere alloggiate nelle splendide sale dell’Appartamento del Doge, dove, seppur nella penombra in cui cui i quadri sono immersi, si possono scorgere soffitti d’oro a cassettoni e splendidi camini in pietra istoriata. Una location elegante per un artista che più di tutti gli altri ha testimoniato il fulgore delle Venezia di quel tempo. La biografia di Carpaccio (1465 ca. – 1525 o 1526) è tutt’oggi ancora fumosa. Era figlio di mercanti e poco si sa delle sue esperienze giovanili. La sua pittura risente ovviamente degli influssi della pittura veneta, in particolare quella di Giovanni Bellini, di cui forse frequentò la bottega e, che al tempo era il faro della pittura nella regione. Fu anche un conoscitore attento della pittura toscana e fiamminga, ammiratore dell’arte di Antonello da Messina e delle opere grafiche di Albrecht Durer, al quale si ispirò spesso per la composizione delle scene. Poco studiato dagli storici novecenteschi, l’artista oggi comincia ad occupare il posto che merita, grazie anche a recenti scoperte e nuove attribuzioni. Carpaccio immerge i suoi soggetti e le storie nel contesto veneziano dell’epoca, dimostrando il gusto per la riproduzione quasi maniacale di particolari in architettonici, paesaggistici ed di elementi naturali. Fu un maestro soprattutto nella produzione dei cosiddetti teleri, cicli dipinti su tele di grandi dimensioni che venivano commissionati dalle confraternite laiche (a Venezia si chiamavano Scuole) e che servivano ad adornare le loro sedi. Il pittore produsse numerose serie di teleri con piglio quasi cinematografico, dipingendo scene complesse e ricche di particolari. Col tempo quasi tutti i cicli sono stati smembrati e oggi conservati in vari musei nel mondo, ma tra quelli rimasti a Venezia, è possibile ammirare l’unico ciclo rimasto intatto e conservato nella sede originaria. Basta andare alla Scuola Dalmata dei S.S. Giorgio e Trifone, anche detta San Giorgio degli Schiavoni (biglietti a prezzo ridotto per chi presenta il biglietto della mostra di Carpaccio) dove son conservati i teleri ispirati alle storie dei S.S. Giorgio, Girolamo e Trifone, oltre a La preghiera nell’orto degli ulivi e La Visione di Sant’Agostino. In mostra c’è comunque lo splendido ciclo “Storie della Vergine”, realizzato da Carpaccio per la Scuola degli Albanesi, i cui teleri, divisi tra la Pinacoteca milanese di Brera, l’Accademia Carrara di Bergamo e alla Galleria Franchetti presso la Ca’ d’Oro di Venezia, sono stati eccezionalmente riuniti per questa occasione. Usciti da Palazzo Ducale, vale la pena spostarsi sull’isola di San Giorgio Maggiore per andare a visitare l’installazione site specific dell’artista Ai Weiwei, che – su richiesta della Comunità benedettina dell’omonimo monastero – ha realizzato l’opera Ego Vici Mvndvm. Al posto dell’opera di Carpaccio “San Giorgio e il drago”, prestata alle due mostre di Washington e Venezia, e ospitata abitualmente nella Sala del Conclave dell’abbazia, l’artista cinese ha realizzato una copia del dipinto con i mattoncini Lego. Da vedere assolutamente!
Palazzo Ducale Appartamento del Doge, Venezia
Fino al 18 giugno https://palazzoducale.visitmuve.it
Informazioni sul sito www.abbaziadisangiorgio.it
“Il meglio maestro d’Italia” Perugino nel suo tempo
Il titolo di questa grande mostra che celebra Pietro di Cristoforo Vannucchi, meglio conosciuto come Pietro il Perugino (1445 ca. – 1523) in occasione del V centenario della sua morte, riporta una frase contenuta in una lettera scritta nel 1500 da Agostino Chigi, al tempo grande mecenate e influente banchiere dei papi, nella quale definisce il Perugino “il meglio maestro d’Italia”. Un soprannome che i curatori hanno scelto per sottolineare il ruolo importante che il pittore umbro ricoprì nel panorama artistico italiano negli ultimi due decenni del Quattrocento. Era nato a Città della Pieve, ma ben presto cominciò la sua formazione prima a Perugia, poi probabilmente al seguito di Piero delle Francesca, per approdare infine a Firenze, dove frequentò la più importante bottega della città, quella di Andrea Verrocchio. Qui studiò pittura, scultura e l’arte dell’oreficeria, misurandosi con altri giovani talenti come Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio e Botticelli. Nel 1472 compare tra gli iscritti della Compagnia di San Luca, l’ordine dei pittori di Firenze. Tornato a Perugia, riceve da subito importanti commissioni, ma la svolta avviene quando tra il 1478 e il 1479 viene chiamato da Papa Sisto IV a Roma per la decorazione della Cappella Sistina, dove esegue almeno sei scene con l’aiuto della bottega, solo tre giunte a noi e tra le quali spicca la splendida scena della Consegna delle chiavi, nella quale è presente, tra i volti dei personaggi, il suo autoritratto. La commessa per la Cappella Sistina lo rende celebre e quando torna in Umbria riceve la cittadinanza onoraria della città di Perugia. Da qui in poi la sua bottega lavorerà senza sosta e, tra gli allievi, avrà per un periodo anche il giovane Raffaello, inviato a Perugia dal padre pittore Giovanni Santi che ammirava già il Perugino, tanto da menzionarlo in alcuni suoi versi con il titolo di “divin pittore”. La mostra ripercorre la vita artistica di Perugino fin dai primi anni di formazione per concludersi con il suo capolavoro “Lo sposalizio della Vergine” (1504) in prestito dal Musée de Beaux-arts di Caen. In quest’opera sono concentrati mirabilmente gli stilemi della pittura dell’artista: le composizioni armoniche, i cieli luminosi e lo sguardo poetico dei suoi personaggi. La critica rimprovera al Perugino una certa ripetitività nelle opere degli ultimi anni, segno probabilmente di un riuso dei cartoni preparatori per portare a termine le commesse, che copiose arrivavano nelle botteghe di Perugia e Firenze. Resta il fatto che, come allora, nella pittura di Pietro Perugino risiede l’anima dell’Umbria. La mostra riflette sull’importanza di Perugino nel suo tempo, proprio per la varietà dei suoi scambi culturali, avvenuti con diversi artisti e per i numerosi viaggi compiuti nella Penisola, dove il suo passaggio ha sempre lasciato tracce profonde. E’ inoltre l’occasione per visitare il nuovo percorso espositivo della Galleria Nazionale, riaperta il 1° luglio 2022 dopo importanti lavori di ristrutturazione. Due le sale interamente dedicate al Perugino, del quale la Galleria possiede il maggior numero di opere al mondo.
Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia
Fino all’11 giugno https://gallerianazionaledellumbria.it
Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa
La mostra rappresenta il primo capitolo di un ambizioso progetto intitolato “Rinascimento a Ferrara 1471-1598 da Borso ad Alfonso II d’Este” volto ad indagare le vicende storico-artistiche del periodo più fiorente della città degli Estensi, dall’elevazione a città ducale, fino alla cosiddetta Devoluzione, avvenuta nel 1598 con il passaggio della città allo Stato Pontificio. Gli Este, in poco più di due secoli, fecero di Ferrara una delle città più illuminate e colte d’Europa, grazie al mecenatismo e alla particolare sensibilità di stampo umanistico. Nella loro corte transitarono le più importanti personalità del mondo politico, letterario e soprattutto artistico, come il Pisanello, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e il fiammingo Rogier van der Weyden, i quali prepararono un fecondo terreno per la nascita e lo sviluppo di una scuola pittorica ferrarese, fondata poi da Cosmè Tura. A quest’ultimo e all’altro talento ferrarese Francesco del Cossa era stata dedicata una grande mostra, svoltasi a Palazzo Diamanti nel 2007, che oggi passa idealmente il testimone a quella odierna. Ercole de’ Roberti (1450-1496) e Lorenzo Costa (1460-1535) furono i talentuosi interpreti della seconda generazione di pittori nati a Ferrara. Il primo visse in gioventù la stimolante stagione degli affreschi di Schifanoia, la villa di delizia che gli Estensi avevano fatto costruire appena fuori città per il riposto estivo (il nome deriva da “schifar la noia” ovvero schivarla). Qui Borso d’Este fece affrescare da un folto gruppo di pittori ferraresi, il celeberrimo Ciclo dei Mesi, oggi di nuovo visitabile dopo una lunga chiusura del palazzo per restauri ( https://www.artecultura.fe.it ). Malauguratamente, sono giunti fino a noi solo i mesi da marzo a settembre, ma è proprio nei riquadri di quest’ultimo mese che si riconosce la mano del giovane de’ Roberti. Si trasferì per un certo periodo a Bologna, ma concluse la sua carriera nella città natale, alle dipendenze della corte estense, dove morì nel 1496. Lorenzo Costa, più giovane di un decennio, raccolse la sua eredità, dopo averne appreso la lezione stilistica. Trasferitosi anch’egli a Bologna per un lungo periodo, qui venne in contatto con la pittura più moderna, la “nuova maniera” imposta da Perugino e Leonardo a Firenze. La pittura di Costa perde la tensione emotiva di de’ Roberti e si fa più morbida e luminosa. Approdò poi a Mantova, dove divenne pittore di corte alle dipendenze della ferrarese Isabella Gonzaga. La mostra accoglie oltre una ventina di opere di de’ Roberti e altrettante di Costa, provenienti dai maggiori musei del mondo, insieme ad una selezione di quadri di maestri coevi, come Andrea Mantegna e Cosmè Tura.
Palazzo Diamanti, Ferrara
Fino al 19 giugno www.palazzodiamanti.it