Pablo è vivo!

Pablo Picasso si spegneva cinquant’anni fa, esattamente l’8 aprile 1973, a Mougins, in Costa Azzurra. Aveva novantun anni, quasi tutti trascorsi in preda a una potente forza creativa che lo caratterizzò fin dall’infanzia e che lo portò a lavorare senza sosta fino alla fine. L’imponente programma delle celebrazioni (https://celebracionpicasso.es ) – che è partito a fine 2022 e si concluderà agli inizi del 2024 – prevede una cinquantina di mostre ed eventi, sparsi tra Europa e Stati Uniti, con Spagna e Francia a farla da padrone. I Ministeri della Cultura dei due paesi, infatti, sono i capofila di questo monumentale progetto che vede coinvolti i due principali musei dedicati all’artista, a Barcellona e a Parigi, nonché una lunga serie di istituzioni museali, fondazioni, biblioteche e centri di studio in giro per il mondo. Le iniziative del cinquantenario sono anche l’ennesima occasione di approfondimento e confronto per gli studiosi dell’artista più misterioso e divisivo di tutto il Novecento.

L’artista che stravolse il modo di rappresentare la realtà

Picasso eccelse nel disegno e nella pittura, ma durante la sua lunga carriera si cimentò con successo anche con la scultura, l’incisione e la ceramica. L’interesse verso la sua opera, dunque, coinvolge ampie porzioni di pubblico e addetti ai lavori, ma non solo. Picasso è un unicum nella storia dell’arte moderna per una serie di motivi. Fu, innanzitutto, un artista molto prolifico. Impossibile fare conteggi precisi, ma si stima che abbia prodotto circa cinquantamila opere, tra dipinti, disegni, litografie o, semplicemente, schizzi e bozzetti. A scuola faceva fatica, gli interessava solo disegnare. E secondo i testimoni del tempo, non disegnava come un bambino. Il padre José, modesto pittore e insegnante di disegno, intuì ben presto il suo talento e si occupò della sua formazione artistica. Lo faceva  attenendosi alle rigide regole accademiche, relative a quell’arte che aveva cominciato già a sgretolarsi in Francia, con l’avvento degli Impressionisti. Pablo conobbe quindi la pittura di Velazquez, di El Greco e di Goya, amava visitare i musei. Quando, solo pochi anni dopo, ruppe tutti gli schemi della pittura convenzionale con Les demoiselles d’Avignon (1907), non negò mai il suo debito verso l’arte di chi l’aveva preceduto. Dopo aver vissuto i primi anni dell’infanzia a Malaga, dove era nato il 25 ottobre 1881, la famiglia si trasferì a La Coruña, in Galizia. Lì, Il padre aveva ricevuto un incarico, come insegnante di disegno, presso la Scuola di Belle Arti, dove Picasso frequenterà i corsi. Aveva circa dieci anni e la sua pittura aveva una maturità straordinaria e inconsueta per un bambino. Il padre gli organizzò la sua prima mostra personale nel retrobottega di una merceria, ottenendo un discreto successo e riuscendo a vendere alcune opere.

La formazione a Barcellona

Nel 1895, la famiglia si trasferì di nuovo, questa volta a Barcellona, per un nuovo incarico del capofamiglia presso la Llotja, l’accademia di Belle Arti della città. Pablo fu ammesso ai corsi anche se non aveva ancora compiuto quattordici anni. L’ingresso era subordinato ad una prova per la quale la commissione concesse un mese di tempo. I documenti ci dicono che Picasso superò la prova con un lavoro che realizzò in un solo giorno. La Barcellona del tempo era una città grande e stimolante dal punto di vista intellettuale ed artistico. In quel periodo, la pittura di Picasso era ancora figurativa, ma portava con sé già tutto quell’ingombrante mondo interiore che finirà sulle sue tele pochi anni dopo a Parigi. A sedici anni installò il suo primo atelier con l’amico Manuel Pallarès e cominciò a frequentare l’ambiente stimolante de El Quatre Gats, un locale frequentato da poeti ed artisti, dove si discuteva di arte e di politica e dove Picasso ebbe la possibilità di esporre i suoi lavori. Qui conobbe alcuni esponenti della scena artistica catalana, come i pittori Miquel Utrillo e Ramon Casas, o letterati come il poeta Carlos Casagemas, con il quale Picasso instaurò un profondo legame di amicizia. Fu in questo periodo che Pablo cominciò a guardare più lontano, più precisamente a Parigi.

Parigi e la Francia, un legame durato una vita

Qualunque artista avrebbe voluto vivere a Parigi agli inizi del XX secolo. In risposta all’arte impressionista, il cui successo era da un po’ in fase calante, cominciavano a far capolino sulla scena artistica i movimenti delle Avanguardie. Picasso raggiunse la capitale francese per la prima volta nel 1900, in compagnia dell’amico Casagemas. Visitò il Louvre e l’Esposizione Universale che aveva appena aperto i battenti dove, nel padiglione della Spagna, era esposto un suo quadro. L’atmosfera parigina era frizzante. Le sue numerose gallerie, gli atelier di artisti provenienti tutta Europa e i caffè facevano sembrare la sua Barcellona una città di provincia. Il soggiorno però fu breve, perché Casagemas cadde in un profondo stato di prostrazione per un amore finito male. Picasso, preoccupato per la sorte dell’amico, rientrò con lui in Spagna, a Malaga, dove però le condizioni di Carlos non migliorarono. Si suicidò all’inizio dell’anno successivo a Parigi, sparandosi un colpo di pistola alla tempia. Picasso apprese la notizia mentre si trovava a Barcellona e ne rimase sconvolto. La tragedia influì pesantemente sulla sua arte. I temi e i colori della sua tavolozza divennero tetri. Questa fase dell’arte di Picasso è detto “periodo blu” e durerà fino al 1904. Quando tornò a Parigi, lo fece per restarci per sempre. Gli presentarono Ambroise Vollard, uno dei più influenti galleristi e mercanti d’arte di Parigi. E’ l’inizio della sua lunga carriera. Il suo modo di dipingere era da tempo in evoluzione. Abbandona definitivamente la pittura accademica, quella che copia la realtà così come l’occhio la vede e considera ormai superata la cosiddetta pittura “retinica” tipica degli impressionisti. Il cuore della visione non risiede nell’occhio. La realtà deve essere riprodotta non come la si vede, ma come la si percepisce all’interno di se stessi e la sensibilità di Picasso era un groviglio inestricabile di emozioni e visioni. Dopo il cosiddetto “periodo rosa”, quello degli Arlecchini, per intenderci, gli studi dell’opera di Cézanne e dell’arte primitiva saranno il motore per sviluppare con Georges Braque l’arte cubista. Picasso divenne in poco tempo una celebrità. La sua casa-atelier al 7 di Rue des Grands Augustins vide, per decenni, processioni quotidiane di amici, mercanti d’arte, poeti o semplici curiosi, ma Picasso rimase sempre un uomo concentrato esclusivamente sul suo mondo interiore. In definitiva, una persona in solitudine. L’uomo “con il genio nelle mani”, come disse una volta Jean Cocteau in un’intervista, l’artista più influente del XX secolo ebbe schiere di seguaci, ma nessun degno erede. Come dicevamo, unico.

Conoscere Picasso

Chi di noi, almeno una volta, non si è trovato spiazzato di fronte ad un’opera di Picasso. Per non dire confuso, senza i mezzi per capire. Rimasero basiti anche i suoi amici, quando Pablo mostrò loro per la prima volta “Les demoiselles d’Avignon”. Pensavano che fosse impazzito, tanto che si è scritto che lui, un po’ incavolato, girò il dipinto verso il muro e lo lasciò lì, abbandonato nel suo atelier per molto tempo. Picasso è sicuramente l’artista più complesso del XX secolo, perché complessa era la sua personalità. Impossibile incasellarlo in una corrente o in un movimento artistico preciso, a parte il Cubismo, che lui inventò e che durò pochi anni. Per comprendere il suo lungo percorso creativo è utile, se non obbligatorio, studiarlo un po’.  Ecco tre libri classici, che aiuteranno a sbrogliare l’intricata matassa.

Picasso. Una briografia

La biografia scritta da O’Brian (1914-2000) rimane a oggi il testo più autorevole per conoscere la vicenda umana di Picasso. Uscita nel 1976, fu pubblicata in Italia nel 1989 da Longanesi, che l’ha rieditata nel 2023 per celebrare il cinquantenario. Forte di un’amicizia ventennale con l’artista, l’autore racconta non solo l‘esistenza di Picasso fin nei minimi dettagli, ma fornisce anche un’attenta critica alle sue opere. Le vicende personali e artistiche sono sempre accompagnate da un discorso più ampio sul periodo storico, sulla società del tempo, sulle persone che frequentarono l’artista. Ricchissime di particolari, per esempio, le descrizioni dei luoghi in cui Picasso visse o viaggiò, che quasi sembrano guide di viaggio. E’ uno sguardo su tutto il XX secolo,  che si legge come un romanzo.

(Longanesi, pp. 576, € 13,90)

Picasso

Gertrude Stein (1874-1946), americana della Pennsylvania, si stabilì a Parigi nel 1903. Nel giro di poco tempo divenne una figura di riferimento nel mondo degli intellettuali parigini e degli scrittori statunitensi emigrati in Europa. Scrittrice, promotrice delle Avanguardie, con i fratelli Leo e Michael costituì una cospicua collezione d’arte, in particolare di quadri del periodo cubista, il suo stile preferito. Era molto amica di Picasso, tanto da dedicargli questa concisa e brillante biografia, scritta in uno stile anticonvenzionale, così come lei era nella vita. La puntuale critica alla pittura dell’amico passa sotto la lente dei momenti vissuti assieme e nell’osservarlo mentre lavorava. Durante l’inverno del 1906, Picasso le fece un ritratto, considerata oggi un’opera importantissima perché segna una cesura nel suo lungo percorso artistico. La Stein riporta che Picasso la fece posare per almeno ottanta volte senza mai arrivare ad una versione che lo convincesse. Poco dopo Pablo partì con la compagna Fernande Olivier per un soggiorno a Gosòl, un remoto villaggio dei Pirenei. Il contatto con una natura così aspra e selvaggia, l’isolamento, l’incontro con la scultura romanica e l’arte iberica portarono Picasso a sviluppare un linguaggio che mirava alla semplificazione delle forme e dello spazio. Quando tornò da Gosòl, Picasso cancellò la testa dal ritratto e – senza richiamare Gertrude a posare – la ridipinse come oggi la vediamo. La fissità di quegli occhi neri senza profondità e lo sguardo ieratico sono il segno di questo profondo cambio di registro.

(Adelphi, pp. 87, 22 tavv., € 10)

La mia vita con Picasso

Picasso ebbe due mogli, alcune relazioni importanti e tante amanti. Non fu facile per nessuna di queste donne. Alcune di loro terminarono tragicamente la loro esistenza dopo la fine della loro relazione con l’artista, altre furono semplicemente abbandonate. Françoise Gilot fu l’unica a lasciarlo, e come scrisse, lo fece “per salvarsi”. Françoise conobbe Picasso nel 1943. Lui la vide in un ristorante e, senza pensarci, andò al suo tavolo portando con sé una scodella piena di ciliegie. Lui aveva sessantun anni e lei ventuno. Lei cominciò a frequentare assiduamente il suo atelier e dal 1946 i due divennero una coppia per i dieci anni successivi. Gli diede due dei suoi quattro figli, Paloma e Claude. Con la collaborazione dello scrittore e critico americano Carlton Lake, Françoise scrisse questo libro intenso (1964), riportando i suoi ricordi tratti da appunti e diari, rigorosamente verificati da Lake. Françoise era a sua volta un’artista e la convivenza con Picasso fu fondamentale per la sua formazione e la sua carriera. Pagina dopo pagina, si è spettatori privilegiati della loro vita, di cosa si dissero, della loro quotidianità a tutto tondo. Forse è per questo che Picasso la porto in tribunale tre volte perché non pubblicasse queste memorie. Perse tutte e tre le cause e, alla fine, si complimentò con lei. A lui piacevano i vincitori.
(Donzelli, pp. 377,€ 26)

 

DOVE VEDERE PICASSO IN EUROPA

Il Museu Picasso di Barcellona (https://museupicassobcn.cat), che quest’anno celebra anche i sessant’anni dall’apertura, possiede la maggior parte delle opere giovanili dell’artista, nonché un corpus gigantesco di disegni, bozzetti preparatori e schizzi di quel periodo. Il 19 ottobre si inaugurerà la mostra più importante di questo anno di celebrazioni che metterà Picasso in relazione con Joan Mirò. Si tratta di un’unica grande esposizione, con importanti prestiti provenienti dal Museo Picasso di Parigi, che avrà due sedi: il Museu Picasso appunto, e la Fundaciò Joan Mirò. I due artisti si conobbero a Parigi nel 1920 e rimasero legati da profonda amicizia per tutta la vita. La mostra indagherà sulle reciproche influenze e sul particolare rapporto che ebbero con Barcellona, città natale di Mirò e luogo in cui entrambi si formarono artisticamente.

A Parigi, invece,  il Museo Picasso (www.museepicassoparis.fr) cominciò a prendere forma l’anno successivo la morte dell’artista, grazie alla stretta collaborazione degli eredi con lo stato francese, entrambi scrupolosissimi nel proteggere la vastissima collezione di Picasso dalla dispersione. In occasione delle celebrazioni, sarà inaugurato a novembre il Centre d’Etudes Picasso che avrà sede in un’ala del museo.

 

TRE CURIOSITA’ D’ARTISTA

  1. Secondo l’uso spagnolo di ereditare i cognomi di entrambi i genitori, il pittore nacque come Pablo Ruiz y Picasso. In alcune opere giovanili Pablo si firma P. Ruiz y Picasso, oppure solamente P. Ruiz, ma alla fine sceglierà di adottare il cognome della madre, forse per semplificare le cose o per affrancarsi dal padre, visto che erano entrambi artisti.
  2. Durante la sua vita, Picasso compose una collezione di un centinaio di opere di altri artisti. Ne fanno parte opere di Corot, Cézanne, Gauguin, Matisse, Renoir, Modigliani, Mirò e tanti altri. Spesso le ottenne facendo degli scambi, oppure come pagamento per la vendita di suoi dipinti. Per sua volontà, la collezione fu donata allo Stato francese dopo la sua morte e ora è in parte esposta al Museo Picasso di Parigi.

Il Museo Internazionale della Ceramica di Faenza possiede alcuni pezzi di Picasso, donati da lui stesso al museo. Un piatto, che ritrae una colomba della pace, fu il primo dono che fece. Il museo fu pesantemente bombardato nel 1944 e, dopo la guerra, il direttore di allora fece un appello agli artisti di tutto il mondo affinché donassero al museo una loro opera. Picasso rispose immediatamente a questo appello, seguito poi da altri artisti.

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