Stando agli ultimi dati diffusi dall’Istat in Italia ci sono 4.908 musei, suddivisi tra istituzioni museali vere e proprie, complessi monumentali e parchi archeologici. Un grande numero, probabilmente da aggiornare al ribasso, dopo i difficili anni della pandemia, ma pur sempre espressione di un patrimonio culturale nazionale che non ha eguali. Circa 500 di questi dipendono dallo Stato, gli altri da regioni, province, università e da un gran numero di istituzioni private. In pratica, per noi italiani, basta uscire di casa per imbatterci in un museo di storia locale, una villa nobiliare, un castello, uno scavo archeologico oppure il Colosseo. Un grande museo diffuso, che include anche il paesaggio.
Una grande fortuna che, la Riforma Franceschini del 2014, ha contribuito a rilanciare. Tanto che a quasi dieci anni dalla sua introduzione, numerosi addetti ai lavori affermano che il sistema museale statale è, infatti, cambiato decisamente in meglio. La scelta di rendere autonomi i musei di importanza nazionale ha convinto tutte le platee. O almeno, per i visitatori più attenti è sicuramente così. Oggi percepiamo le grandi istituzioni museali come organismi viventi e in continua trasformazione, sempre più sensibili ai temi della contemporaneità come inclusività, sostenibilità e ambiente.
Il direttore diventa front man del museo
All’indomani di quella che è stata probabilmente una rivoluzione copernicana, è emersa la figura della direttrice o del direttore, diventati, a tutti gli effetti, il perno su cui si attivano gli organi scientifici e amministrativi del museo, nonché tutto lo staff museale, dalla biglietteria ai curatori, tutti compresi. Per quanto riguarda i 60 musei statali autonomi, la nomina avviene tramite un bando pubblicato dal Ministero della Cultura (MiC, precedentemente MiBACT) ed è rivolto ai cittadini dell’Unione europea. All’inizio, tante erano state le polemiche per l’apertura delle candidature agli stranieri, ma alla fine questa scelta si è rivelata un’ulteriore ricchezza. Per certe istituzioni, gli eccellenti professionisti non italiani chiamati alla direzione, con decenni di studio del nostro patrimonio alle spalle e – soprattutto – fuori dalle logiche del campanile, sono stati una manna. Si pensi, per esempio, al britannico James Bradburne, che ha diretto per otto anni la Pinacoteca di Brera (www.pinacotecabrera.org) e la Biblioteca Nazionale Braidense. Il suo mandato è scaduto a fine settembre, ma lascia in eredità una Brera totalmente rinnovata e contemporanea. Contrario da sempre all’organizzazione di grandi mostre acchiappa-spettatori, Bradburne, ha portato con sé l’esperienza pluriennale maturata con altre direzioni (Palazzo Strozzi a Firenze, per esempio). Basandosi sull’idea che chi entra in un museo non è solo un visitatore, ma soprattutto un utente con le proprie esigenze, ha portato a termine con successo interessanti progetti museologici e museografici. Ha coinvolto istituzioni esterne, come il Buzzi, l’ospedale milanese dei bambini, o la Vidas per mettere a punto la creazione di percorsi di visita specifici, ad esempio, per malati di Parkinson o Alzheimer, aumentando così il livello di accessibilità e inclusività della pinacoteca. In otto anni Brera è stata completamente riallestita negli ambienti e nelle collezioni. Si è raggiunto un altissimo livello di digitalizzazione e di interazione con i visitatori, grazie anche al varo di BreraPlus, una piattaforma dove trovare film e documentari, approfondimenti e iniziative in streaming, per la fruizione del museo h24, mentre con Brera on air, si ha la possibilità di scoprire, tramite video caricati periodicamente sul sito ufficiale, come si svolge il lavoro quotidiano nel museo.
I direttori dei grandi musei, oggi, non sono dunque solo professionisti che devono gestire importanti collezioni, risorse economiche e il personale, ma sono anche spesso il volto più noto, il testimonial eccellente, del luogo che dirigono. Sui canali istituzionali, in tv e radio, oppure sui giornali. I più smart hanno migliaia di followers sui social, grazie alle dirette Facebook e Instagram. Prima della riforma Franceschini, i musei statali dipendevano dalle Soprintendenze, oggi hanno un proprio statuto e autonomia gestionale. Chi li dirige deve assomigliare più al CEO di un’impresa che non a un burocrate dello Stato senza volto, anche se, in questo caso, si tratta di un CEO più romantico perché – passateci una licenza poetica un po’ leggera – è un mix tra un secchione con un curriculum zeppo di studi “matti e disperatissimi” e un influencer con molto appeal che, con un video in cui ti spiega i segreti di un dipinto, ti convince ad acquistare subito dopo un biglietto per visitare il suo museo, con la segreta speranza di incontrarlo nei corridoi. Cosa che succede più frequentemente di quel che si possa pensare. Insomma, talentuosi ed efficaci, con carriere, in certi casi, iniziate molto presto. Abbiamo voluto saperne di più su alcuni di loro.
La pasionaria
Cristiana Collu è stata la direttrice di museo più giovane d’Italia, quando aveva solo 27 anni. Classe 1969, dopo la laurea a Cagliari in Arte e Letteratura, si specializza in Spagna e poi compie uno stage di sei mesi a Sydney, sperimentando i metodi del sistema museale di ispirazione anglosassone. Tornata in Italia, vince il concorso che le assegna la direzione del MAN, il Museo d’arte di Nuoro, dove rimane quindici anni. Dal 2012 al 2015 dirige il MART di Rovereto, per approdare, sempre nel 2015, nella capitale per guidare la Galleria Nazionale di Roma (www.lagallerianazionale.com), dopo la selezione ministeriale. Parliamo del museo che conserva la più importante collezione di arte moderna e contemporanea del nostro Paese, ma lei, in barba alla tradizione del luogo e alla pletora di accademici che gira attorno al museo, nel 2016 presenta al pubblico la riorganizzazione della vasta collezione permanente con la mostra “Time is out of Joint”, un progetto espositivo radicale che scatena un lungo dibattito e le feroci critiche di molti esperti del settore, ma che viene premiato dal pubblico. Con il nuovo allestimento, vengono scardinati completamente i tradizionali temi della lettura cronologica delle opere, per favorire una loro distribuzione sincronica all’interno degli ambienti, ovvero abbandonando la linearità storica per permettere una fruizione più emotiva e personale ad ogni visitatore. “Time is out of Joint” ha inteso favorire il concetto di elasticità del tempo e del suo fluire, così come dev’essere la storia di un museo, sempre in movimento. Infatti, se aprite la pagina dedicata al progetto sul sito del museo, noterete una data di inizio della mostra, ma non quella della fine. Cristiana Collu è un’attivista tenace, soprattutto riguardo alla condizione femminile e all’ambiente, è spesso divisiva, ma alla fine il suo nome compare sempre nella lista dei direttori da passare al vaglio, ogni volta che il Ministero fa nuove nomine. Il prestigio di una combattente.
L’intellettuale
E’ servita una bella dose di pragmatismo a Simone Verde, direttore del Complesso Monumentale della Pilotta (www.complessopilotta.it) di Parma dal 2017, per rinnovare e rivoluzionare totalmente quello che viene definito in Italia il museo dei musei. Sei anni per riqualificare i 30.000 mq del complesso che accoglie diverse collezioni, formatesi a partire dal ‘500 grazie ai Farnese prima e ai Borboni poi. In passato, la Pilotta costituiva un complesso di edifici di servizio risalenti a varie epoche, costruiti accanto al palazzo ducale (oggi scomparso) e che, col tempo, erano diventati il contenitore di un immenso patrimonio artistico, suddiviso tra la Galleria Nazionale, la Biblioteca Palatina, il Museo archeologico, il Museo Bodoniano e il Teatro Farnese. Al suo arrivo, Verde ha dovuto metter mano ad una disastrosa situazione, che, per sua stessa ammissione, presentava gravi situazioni di degrado. Ha portato avanti un programma preciso di interventi strutturali e di contenuto, che hanno portato alla riunificazione delle varie collezioni che, seppur mantenendo la loro autonomia, oggi possono di nuovo raccontare coralmente la storia di Parma e delle famiglie che l’hanno governata, restituendo alla città un museo, non più mero contenitore di capolavori, ma centro di ricerca al servizio della comunità. Simone Verde è forse il professionista che si avvicina di più al modello ideale del direttore di museo post-riforma, se non altro per la sua versatilità. Laureato in Filosofia teoretica a Roma, ha continuato gli studi in Francia, ottenendo prima un master in Filosofia antica presso l’Université de Paris, per conseguire poi la laurea in Storia dell’arte all’Ecole du Louvre, con la quale inizierà anche un’importante serie di collaborazioni, che lo porteranno a ricoprire la carica di responsabile della ricerca scientifica e della produzione editoriale del Louvre di Abu Dhabi. Questo, in estrema sintesi, il curriculum di Verde , il quale, oltre alle normali attività di studioso, ha maturato una consistente esperienza nel campo della comunicazione. In questo periodo il MiC sta conducendo i colloqui per la nomina dei nuovi direttori dei musei autonomi statali. Simone Verde è destinato a rimanere a Parma? Si parla di lui per Brera o gli Uffizi. Staremo a vedere.
Il più amato dal pubblico
Provate ad accedere ai commenti degli utenti, sotto un post dove si parla di lui e vedrete una gran quantità di cuoricini e di parole di gratitudine. Christian Greco, archeologo e direttore del Museo Egizio di Torino dal 2014, è praticamente una star. Sarà per la passione che ci mette nella divulgazione della sua materia, l’egittologia, oppure per le battaglie sociali di cui a volte si rende protagonista. Sicuramente, ha capito una cosa: che un museo deve essere la casa di tutti. Ed è forse il museo torinese quello più attento ad espletare la sua funzione sociale. Tante, sotto la sua direzione, le iniziative volte ad aumentare la soglia di inclusività. L’ultima in ordine di tempo è quella che riguarda il progetto di accoglienza di famiglie in difficoltà e senzatetto, che prevede l’ingresso gratuito con visite guidate e laboratori per i più piccoli. Greco, ha comunque annunciato poco tempo fa, l’intenzione di rendere gratuito l’Egizio per tutti entro il 2028, come già succede in tanti grandi musei europei. Nato in provincia di Vicenza nel 1975, si è formato prima a Pavia, poi a Leiden, in Olanda, dove ha conseguito il master in Egittologia. Nel 2008 ottiene il titolo di Dottore di Ricerca presso l’Università di Pisa. Impossibile elencare qui il resto, tra curatele, pubblicazioni e collaborazioni internazionali. L’ultimo riconoscimento in ordine di tempo è la sua nomina a Torinese dell’anno 2023, conferitagli dalla Camera di Commercio della città. Il 2024 sarà l’anno delle celebrazioni per il bicentenario del Museo Egizio, che sarà l’occasione per un importante ripensamento del museo, sia dal punto di vista strutturale, sia dell’allestimento. La guida dell’istituto è saldamente nelle mani di Greco, visto che dal 2004 l’allora Ministero dei Beni Culturali ha conferito per trent’anni i beni del museo alla Fondazione Museo delle Antichità Egizie, di cui fanno parte la Regione Piemonte, la Provincia e la Città di Torino e altre istituzioni culturali del territorio. La nomina del direttore non segue quindi il consueto iter ministeriale. Se vi riesce, provate una volta a partecipare alle Passeggiate con il Direttore. Sono visite guidate tenute da Christian Greco. Non c’è una programmazione delle date e i posti sono limitati, bisogna solo intercettare l‘avviso del museo quando ne annunciano una. Credeteci, è un’esperienza straordinaria.